La notizia arriva nel bel mezzo della doppietta di Gran Premi italiani e, almeno per l’opinione pubblica nostana, Ferrari-centrici: Monza prima, Mugello poi. Sebastian Vettel non è più un semplice futuro ex pilota del Cavallino, ma nel 2021 sarà regolarmente in pista. Al volante della Aston Martin, la Racing Point di oggi. Ovvero una delle rivali che più incarna le frustrazioni in rosso di oggi. E che permette di tracciare un bilancio della parabola in Formula 1 di un pilota verso cui i giudizi sono sempre stati bulimici. In positivo e poi in negativo.
La sete di mito della Formula 1 e “Seb il prodigio”
La Formula 1, benché si sia autoassegnata l’etichetta di sport freddo ed elitario, perché radicata in un contesto che di nazionalpopolare ha veramente poco, in realtà è tutt’altro agli occhi del suo pubblico. Perché anche qui (più che altrove) la caccia al campione che diventa mito, leggenda, o nemico pubblico numero uno, è talmente profonda da apparire quasi imprescindibile dalla natura stessa delle corse. E Sebastian Vettel, a 32 anni e 2 mesi, può dire di averle passate tutte.
Da Jim Clark a Niki Lauda, da Gilles Villeneuve ad Ayrton Senna, da Michael Schumacher a Lewis Hamilton (con relativi colleghi/rivali/amici/nemici), la sete di mito si trascina tra i fan più sfegatati della Formula 1 da sessant’anni buoni. E in quel 2007 in cui Vettel ebbe modo di emettere i primi vagiti al volante di una BMW-Sauber la sete era assoluta. Era un Circus al primo anno senza Kaiser, con un Hamilton ancora semisconosciuto e un dualismo Alonso-Raikkonen ancora non ai livelli di guardia che il pubblico “hardcore” reclama. Poi il botto di Kubica a Montreal, il ragazzino che ne prende il posto a Indianapolis. Pronti via, subito ottavo. Dopo il pazzesco primo posto nel venerdì di Turchia un anno prima. Il mondo delle quattro ruote urla al “prodigio”, il pubblico fibrilla: tutti sono pronti ad acclamare un nuovo eroe.
La grande ascesa e la speranza del “nuovo Schumacher”
Il 2007-2008 è il biennio della grande ascesa, con la prima stagione e mezza da titolare, in Toro Rosso. Qui c’è tutto Vettel: un podio gettato alle ortiche al Fuji per un blackout mentale (tamponamento a Webber dietro la Safety Car e nel diluvio), una vittoria leggendaria a Monza. Con il nubifragio che, stavolta lo aiuta. Sul podio inno tedesco, e poi inno di Mameli. Come nell’era Schumacher. Lo dicono anche in diretta tv. Il pubblico italiano elegge un nuovo idolo, che si consacra tale in quel Gran Premio del Brasile in cui, infilando Hamilton, consegna per qualche giro il titolo mondiale alla Ferrari di Massa.
Nel 2009, stagione di passaggio, Ferrari e McLaren faticano. Il campionato è quindi conteso dalla Brawn di Jenson Button e la Red Bull di Sebastian Vettel, battuto dopo un lungo e infruttuoso inseguimento. Poco male, perché gli amanti della Formula 1 hanno già deciso: il nuovo Schumacher che stavamo cercando è già qui. Talentuoso, tedesco, indomito, affamato di successo.
Sebastian Vettel: il boom e la popolarità in discussione
Peccato che nel 2010 la Ferrari torni competitiva, e il nuovo alfiere del Cavallino (Fernando Alonso) si trasformi nel principale avversario di Seb. Un avversario che a tratti diventa proprio nemico. Vettel vince in maniera rocambolesca il campionato, primo in classifica solo dopo l’ultima gara, e dà inizio a un quadriennio di dominio. In cui, paradossalmente, l’opinione pubblica spesso lo bastona. Merito della Red Bull, merito di Adrian Newey, Seb è protetto e quando è sotto pressione sbaglia. Guardate Turchia 2010 o Canada 2011.
Vettel vince, e tanto, ma chi lo amava ora storce il naso. Situazione che si amplifica dopo l’ancora più rocambolesco mondiale vinto nel 2012, la “trappola” a Webber in Malesia nel 2013, e il 2014. Primo anno dell’era ibrida, oltre che del dominio Mercedes: Ricciardo che tramortisce il compagno di squadra in Red Bull, Seb che lascia, e dice sì alla Ferrari.
La Ferrari: Sebastian Vettel e il pendolo emotivo impazzito
E in Ferrari ancora una volta il pendolo emotivo che Vettel deve sostenere sulle spalle ha un’impennata. La sciapa Rossa del 2014 si tramuta in una Rossa che inaugura il 2015 vincendo la seconda stagionale, in Malesia. Il popolo di Maranello è di nuovo in visibilio. Il vecchio nuovo Schumi è tornato. Dopo oltre cinque anni, ma è tornato.
Difficile ora credere che solo due anni fa, di questi tempi, chiunque amasse il Cavallino vedesse in Sebastian Vettel il suo più degno destriero. La Mercedes è imbattibile, la Ferrari è indietro, ma grazie al nostro campione il sogno mondiale si può fare. Poi quell’incidente nella pioggia di Hockenheim, vittoria e leadership mondiale che se ne vanno. E la parabola che, da ascendente, si trasforma in una picchiata inesorabile.
Improvvisamente Vettel, da campione indomito, diventa un talento fragile. Sbaglia, sbaglia spesso, sbaglia troppo. Anche errori del passato tornano improvvisamente presenti, ci si aspetta sempre un suo nuovo sbaglio, che puntualmente arriva. Il quattro volte campione del mondo cede alla pressione. Diventa addirittura un meme (“Sbinnala“). E, senza rendersene conto, accoglie in casa un nuovo eroe. Giovane, scavezzacollo, talentuoso. Feroce, nonostante la faccia da buono. E che parla francese. Addio nuovo Schumacher, benvenuto nuovo Villeneuve: è nata la Ferrari di Charles Leclerc.
Formula 1: altro che sport senza sentimenti
Per Vettel inizia il calvario definitivo. Ormai può dare in pista ciò che vuole ma ha l’etichetta del ferrovecchio cucita sulla tuta. L’ex campione. Il fuoriclasse sorpassato. In Canada lo penalizzano, perde la vittoria su Hamilton e la gente non si infuria. Sorride. Poi l’ultima vittoria, a Singapore, che sembra quasi un regalo nemmeno troppo meritato. E il crash tra Rosse a Interlagos. Vattene, Seb. Sei il passato, abbiamo un eroe, e non sei più tu.
Ora il sipario. Su uno dei migliori interpreti della Formula 1 della sua generazione, un quattro volte campione del mondo che in Ferrari è diventato il terzo più vincente di ogni tempo (72 successi Schumi, 15 Lauda, 14 Vettel, dicono gli almanacchi). Ma che è stato vittima delle montagne russe emotive di uno sport che si crede privo di sentimento.