11 luglio 1982-2021: un filo Euro-Mondiale che ci fa venire nostalgia

11 luglio 1982. Al Bernabeu di Madrid la Nazionale di calcio guidata da Enzo Bearzot riporta in Italia un titolo Mondiale (il terzo della storia) che mancava nel nostro Paese da oltre 40 anni. Nando Martellini pronuncia quel triplice “Campioni del Mondo!” al termine della finale contro la Germania dell’Ovest e consegna quell’iconica Italia iconica all’immaginario collettivo. Il successo ai Mondiali 1982 resta un caposaldo nella storia recente del Paese: sulle ali di Paolo Rossi, l’impresa epica travalica decisamente lo sport, diventando il simbolo di una comunità che esce dagli Anni ‘70 del terrorismo, per entrare nei colorati Anni ’80.

Il riscatto del Made in Italy, del benessere e delle tv commerciali. Ma soprattutto l’arrivo da outsider, gli scandali del calcio scommesse, la galoppata inesorabile verso la finale, la vittoria contro l’argentina di Maradona e il Brasile di Zico e Falcao, l’urlo di Marco Tardelli, la partita a scopone con Sandro Pertini sono tutte istantanee rimaste nella mente di un Paese che non aveva altra possibilità che fermarsi davanti alla tv (e tanti furono i televisori a colori comprati quell’estate per l’occasione) e tifare come un sol uomo.

L’ultimo trionfale 11 luglio per il calcio

11 luglio 2021. Quella di Roberto Mancini espugna la fortezza inglese di Wembley e fa volare in Italia il titolo Europeo che mancava da più di 50 anni. Stessa data, stessa impresa; a distanza di 39 anni esatti una dall’altra. In mezzo, il titolo Mondiale nel 2006 conquistato da Marcello Lippi. L’Italia, quindi, ritorna sul trono d’Europa con pieno merito e con la coscienza pulita. O meglio, con una coscienza ripulita da quell’onta molto più vicina nel tempo. Appena tre anni e mezzo prima.

Novembre 2017, Milano, San Siro. L’Italia di Ventura fa 0-0 contro la Svezia e non si qualifica per i Mondiali di Russia. Macchia indelebile che può essere cancellata soltanto con una vittoria importante: Europei 2020 o Mondiali 2022. Via Ventura e Tavecchio, dentro Mancini e Gravina. Gli uomini giusti al posto giusto. Dalle macerie sorge una macchina quasi perfetta, che riavvicina la maglia azzurra alla Nazione. La lunga imbattibilità va però accompagnata da qualcosa di più concreto. Non basta più la qualificazione alla prima fase. Non basta più superare un ottavo di finale contro l’Austria. Serve una grande vittoria contro una grande squadra. Ne bastava una, ne arrivano tre: Belgio, Spagna e Inghilterra. Anche la dea bendata tifa per gli azzurri e la Coppa, come attirata da una calamita, torna in Italia. Torna dov’è la storia vera del calcio. Agli inglesi, dopo la Brexit, resta una medaglia; peraltro rifiutata. Non poteva che finire così. Di fatto, era una storia già scritta.

E adesso, che cosa succederà?

Quei due meravigliosi 11 luglio fanno ormai parte del passato. La seconda mancata qualificazione al Mondiale dell’Italia del calcio è forse evocativa di altro. Ovvero di un sistema Paese che nei decenni ha rallentato e perso competitività a vari livelli. In primis, a livello economico. Perché nel calcio moderno finanza e pallone sono due facce della stessa medaglia.

La resa contro la Macedonia del Nord a Palermo di circa quattro mesi fa, come quella alla Svezia di quattro anni e mezzo prima, è arrivata contro una squadra ben più povera di talento. È frutto di un ventaglio di circostanze che ha una genesi ben precedente. E che parte dall’impoverimento economico dell’Italia, passata dall’essere la quinta potenza economica all’inizio degli anni ‘90 all’attuale ottavo posto. Secondo i dati Ocse, tra il 1990 e il 2020 i salari medi nell’Unione europea sono cresciuti per tutti tranne che per l’Italia. -2,9% contro il +33,7% della Germania, il +31,1% della Francia e il +6,2% della Spagna. La nostra, inoltre, prima della pandemia era l’unica grande economia a non aver ancora cancellato la caduta di Pil registrata durante la grande crisi del 2008 e quella del debito sovrano nel 2011.

Nonostante tutto, però, l’Italia ha ancora tecnici e giocatori di livello. La vittoria agli Europei è stata frutto di un allenatore, Roberto Mancini, che ha proposto un’idea di calcio spettacolare e pragmatica allo stesso tempo. Quella di una squadra in grado di divertire, ma anche di difendersi e pensare al risultato quando serviva. È chiaro che per ritrovare la continuità di un tempo, però, al nostro calcio serviranno riforme, capacità di attrarre investimenti esteri, stadi nuovi. Ci sono il Pnrr, i suoi miliardi, la tradizione e le competenze. Basterebbe semplicemente non rovinare tutto.

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