Primo Levi, chi era il chimico scrittore che ha raccontato l’Olocausto
L'esigenza di raccontare la sua esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz si è intrecciata con la sua mentalità di scienziato e di chimico, donando alla sua scrittura una forma essenziale e diretta

Primo Levi | Photo by Monozigote under the Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.en)
Scritte da un chimico votato alla scrittura, le opere di Primo Levi si legano in maniera indissolubile alle sue esperienze di vita, in particolare quella nel campo di concentramento di Auschwitz in cui è stato deportato in quanto ebreo, e alla volontà di ricordare quell’estrema degradazione della storia contemporanea che è stata la persecuzione degli ebrei. L’esigenza di raccontare si è intrecciata con la sua mentalità di scienziato e di chimico, donando alla sua scrittura una forma essenziale e diretta.

Chi Era Primo Levi
Gli studi e la laurea in chimica
Nato a Torino nel 1919 in una famiglia ebrea di intellettuali piemontesi, ha studiato al liceo classico Massimo D’Azeglio diplomandosi nel 1937. Dopo il liceo si è iscritto al corso di laurea in chimica della facoltà di Scienze dell’Università di Torino ma, in seguito dell’instaurazione delle leggi razziali che discriminano gli ebrei e a cui viene vietato l’accesso alla scuola pubblica, ha trovato non poche difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi. Nel 1941 è riuscito a ottenere il diploma di laurea, il quale riportava la precisazione ‘di razza ebraica’.
L’arresto e la deportazione
Dopo la laurea si è trasferito a Milano dove ha trovato lavoro in una fabbrica svizzera di medicinali, poi nel 1942 è entrato nel Partito d’Azione e ha fatto una breve esperienza da partigiano in Val d’Aosta. È stato catturato nel dicembre del 1943 e deportato nel campo di lavoro di Monowitz, che faceva parte dello stesso complesso di Auschwitz, dove è rimasto dal febbraio del 1944 al gennaio del 1945.
Poco prima della liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa, si è ammalato di scarlattina ed è stato ricoverato nell’infermeria del campo. I tedeschi evacuando il campo hanno abbandonato i malati e Levi è riuscito a scampare alla marcia di evacuazione da Auschwitz. È stato uno dei venti sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con lui al campo.
L’attività di scrittore
Rientrato a Torino dopo un viaggio lungo e travagliato, raccontato poi ne La tregua, ha trovato lavoro in una ditta di produzione di vernici e ha iniziato a dedicarsi alla scrittura. Ha esordito nella narrativa nel 1947 con Se questo è un uomo, pubblicato dall’editore De Silva con poco riscontro, ma il successo dell’opera è arrivato nel 1958 quando è apparsa nella collana dei ‘Saggi’ di Einaudi ed è diventata un caso letterario non solo italiano.
Dopo il successo di Se questo è un uomo e la pubblicazione de La tregua, che gli ha fatto vincere il premio Campiello, ha cominciato a scrivere in maniera più costante ma si è dedicato interamente alla letteratura solo a partire dal 1975, anno in cui ha lasciato il lavoro di chimico e ha pubblicato Il sistema periodico, costituito da storie ispirate dai vari elementi chimici.
Tre anni dopo è il turno de La chiave a stella, testo in cui si celebra la professionalità di un operaio e vengono raccontati i riti del cantiere e della fabbrica. Tra le ultime opere, da ricordare I sommersi e i salvati, testo in cui la riflessione sull’atroce esperienza dei campi di concentramento si intreccia con un’analisi lucida dei guasti della società contemporanea. L’11 aprile del 1987 si è tolto la vita nella sua casa a Torino.

Se questo è un uomo
In Se questo è un uomo, l’opera più conosciuta di Primo Levi, il ricordo della vita nel lager di Monowitz si svolge come in un racconto-diario. Con occhio lucido, quasi da osservatore scientifico, tralasciando i toni vittimistici, Levi racconta l’inferno dei lager e gli orrori subiti da chi vi era internato.
L’autore dà spazio anche alla descrizione dei rapporti sociali, sottolineando come le regole della civilizzazione umana siano state messe a tacere. Non si può però perdere la dignità umana e il valore dell’amicizia: vengono infatti descritti alcuni isolati episodi di carità e di solidarietà tra prigionieri.