Perché il discorso sui “neri del Milan” di Mario Sconcerti non sta in piedi

Come tutti i lunedì, Mario Sconcerti analizza l’ultima giornata di campionato di Serie A sulle colonne del Corriere della Sera in un suo editoriale. Solo che, a differenza di molte altre volte, le parole utilizzate dal giornalista hanno scatenato diverse polemiche. Soprattutto sui social, dove non sono mancate critiche e stigmatizzazioni al suo articolo. Ma che cosa ha scritto precisamente?

In realtà sono due gli editoriali finiti nel mirino del web. Uno apparso, per l’appunto, sul Corriere della Sera. Questo un estratto dall’articolo del 9 maggio, parlando del Milan capolista.

“Ha un altro passo rispetto all’Inter, non migliore, solo molto diverso. L’Inter è diretta, spigolosa, essenziale, europea. Il Milan è più morbido, rotondo, universale: ha cinque-sei giocatori di origine non europea, ha modi di giocare diversi, quindi più completezza di gesti tecnici. L’Inter ha solo Dumfries. Le differenze culturali e fisiche non decidono automaticamente la qualità generale, ma danno un indirizzo al gioco, permettono altre idee, altri movimenti. Una grande squadra oggi deve avere questa mescolanza di origini”.

Concetto, poi, ribadito su calciomercato.com nella medesima giornata.

“L’Inter ha tutti giocatori europei, di nascita e di origine, compresi i sudamericani. C’è un unico giocatore nero, Dumfries, questo porta l’Inter ad avere un gioco lineare, verticale, duro, di buona corsa. Il Milan ha in campo sempre cinque/sei giocatori afro-caraibici, più morbidi, spesso tecnici, più istintivi, più potenti. Credo da molto che una squadra, per essere grande, debba mescolare le etnie dei suoi giocatori, perché ogni origine diversa porta a idee di gioco diverse, a qualità complementari. Naturalmente non è obbligatorio, ma con una mescolanza di razze hai movimenti diversi, culture diverse e quindi conseguenze fisiche e tecniche diverse. C’è una maggiore possibilità di completarsi”.

Mario Sconcerti ha ragione oppure no? Alcuni esempi che contraddicono la sua teoria

Al di là delle polemiche che ne sono scaturite, ci si chiede: ma ha un fondamento di verità quello che sostiene Mario Sconcerti? Per comprendere il senso del suo discorso, guardiamo a quello che succede all’estero. In Inghilterra e in Francia, per esempio, è assolutamente vero che ci siano squadre sia di club sia delle Nazionali che comprendono più giocatori con “etnie” diverse tra loro. E sono squadre che hanno vinto molto o che comunque sono sempre state spesso ai vertici dei campionati: Manchester City, Liverpool, Chelsea, Arsenal, Psg, Marsiglia, giusto per fare qualche nome. Però, bisogna tenere anche conto che molti di questi giocatori, che sono sì di colore, in realtà respirano calcio e cultura europea da sempre. In questo senso, gli esempi della Nazionale britannica e di quella francese diventano lampanti. I calciatori “neri” sono sostanzialmente tutti inglesi o francesi di seconda generazione.

Quest’ultimo discorso, tra l’altro, può essere applicato globalmente anche al Milan. Maignan, Kalulu, Tomori e Leao, per la storia personale e professionale che hanno alle spalle, sono da considerarsi di fatto “europei”. Non solo. Andiamo a vedere quello che è successo negli ultimi decenni nel Barcellona e nel Bayern Monaco. Hanno vinto e stravinto tutto pur non avendo praticamente nessun (o comunque pochissimi) calciatore di colore. Anzi, è stato (anche) proprio l’orgoglio di avere costruito delle squadre su una potente base identitaria, rispettivamente spagnola e tedesca, ad avere fatto la differenza. Del resto, è quello che è stato spesso imputato alle società calcistiche italiane: quello di non avere fatto crescere sufficienti giocatori all’interno del proprio settore giovanile. Eccezion fatta per la Juventus, che ha sempre vinto anche per via di una forte identità italiana. Ecco perché la recente opinione di Mario Sconcerti non è perfettamente aderente alla realtà.

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