Ministero della cultura popolare, cos’era? E perché Travaglio ne ha parlato?

Nelle ultime ore ha fatto parecchio discutere una vignetta realizzata da Mario Natangelo per Il Fatto Quotidiano, che rappresenta Arianna Meloni, sorella della premier e moglie del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, a letto con un uomo nero. L’intento del fumettista era quello di fare satira sulle recenti dichiarazioni dell’esponente di Fratelli d’Italia sui temi della denatalità e della sostituzione etnica. La vignetta però è stata aspramente criticata per la sua natura sessista e razzista non solo dalla maggioranza, ma anche da vari esponenti dell’opposizione.

Una delle vignette di Natangelo
Una delle vignette di Natangelo – Foto | Ansa

La seconda vignetta e l’editoriale di Travaglio

Queste reazioni hanno spinto Natangelo a fare una seconda vignetta, che Il Fatto Quotidiano ha messo in prima pagina, accompagnata da un editoriale scritto per l’occasione da Marco Travaglio, il direttore del giornale. Nel nuovo fumetto, Arianna Meloni è a letto con il marito e rimpiange “la compagnia” della vignetta precedente. “Il nuovo Minculpop ha il terrore delle vignette”, ha osservato Travaglio nel suo editoriale, incentrato sulla difesa della satira e sull’incapacità di chi ha criticato il disegno di comprenderne il vero significato. Il riferimento al ministero della cultura popolare rappresenta una stoccata al Governo Meloni, più volte accusato di riprendere alcuni elementi del periodo fascista.

Cos’era il ministero per la cultura popolare?

Istituito nel 1937, il ministero della cultura popolare nacque per allineare la comunicazione dei media con gli ideali che il regime fascista desiderava promuovere. Per raggiungere questo scopo, l’antico ufficio stampa del presidente del Consiglio fu elevato al ragno prima di sottosegretariato per la stampa e la propaganda e poi a quello di dicastero. Il primo ministro della Cultura popolare fu Dino Alfieri, al quale seguirono Alessandro Pavolini (dal 1939), Gaetano Polverelli (dal 1943) e per ultimo Ferdinando Mezzasoma. Sotto la loro guida, il Minculpop portò avanti delle campagne volte a legittimare la guerra, l’odio nei confronti degli ebrei e l’esaltazione dell’”uomo nuovo fascista”.

Per tutta la sua esistenza, il ministero controllò l’informazione con il pugno di ferro e attuò varie forme di censura. Tutti i contenuti non allineati all’ideologia fascista non potevano essere pubblicati e non era neppure permessa una visione disfattista dell’immagine nazionale o critica nei confronti del coinvolgimento nella seconda guerra mondiale. Furono eliminate tutte le considerazioni considerate lesive nei confronti di Benito Mussolini, nonché quelle negative nei confronti di temi come la maternità, la battaglia demografica e l’autarchia. Il ministero della cultura popolare fu soppresso il 3 luglio del 1944 dal governo Badoglio.

Simona Malpezzi
Simona Malpezzi – Foto | Ansa

Pochi mesi fa, in occasione delle critiche sollevate dalla maggioranza nei confronti del freestyle di Fedez a Sanremo, Simona Malpezzi, capogruppo del Pd al Senato, disse “tira aria da Minculpop”. Alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, infatti, avevano invocato le dimissioni dei dirigenti Rai responsabili dell’esibizione del rapper, che sul palco dell’Ariston aveva attaccato duramente alcuni membri del partito.

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