Renato Zero, i 70 anni ‘folli’
di un artista geniale e rivoluzionario

Renato Zero compie 70 anni. E, come ci ha sempre abituato, il suo non può che essere un compleanno speciale. Il Renatone nazionale ha infatti deciso di festeggiare i suoi primi sette decenni di vita con la musica: tre album inediti, di cui il primo (Volume Tre) esce proprio oggi, con scadenza il 30 di ogni mese fino a novembre, dal titolo Zero Settanta.

Questa trilogia arriva dopo il grande successo di Zero il folle, trentesimo album in carriera per Renato Zero. Presentato in giro per l’Italia in 25 date, è stato un album dedicato alla follia che il cantautore ha descritto come un’alleata, un paio d’ali di scorta” da usare “quando ti senti compresso. È un modo alternativo di far lavorare la mente, una forma d’arte. È con questa ricchezza di esperienze che il gioco si fa interessante. Oggi ancora scrivo e mi appassiono”.

Quella vita che rischiava di essere spezzata fin da subito

Del resto Renato Fiacchini non ha mai smesso di Vivere con la ‘V’ maiuscola. L’uomo, infatti, è nato almeno tre volte: la prima come tutti. La seconda subito dopo nel reparto maternità con una trasfusione completa del sangue per scacciare via una rarissima anemia emolitica, la terza a 41 anni quando tutti lo davano per finito e invece strappò dieci minuti di applausi a Sanremo. Il suo nome infatti è Re-nato. Ma soprattutto Zero, perché è pari e dispari, maschio e femmina, maschera e individuo, personaggio e persona, destra e sinistra, sesso e mistica, arte e show. Tutti gli opposti insieme. Impossibile moltiplicarlo, dividerlo, estrarne la radice quadrata. Zero, nessuno centomila.

La sua vita è una canzone unica. A partire da quel ritmo ‘pop’ del feto che rischiava di nascere morto (“quante volte sono morto quante volte nascerò”). Invece uscì vivo (“il mio alibi è che vivo”) e strano (“privo di un’etichetta, infilo il naso dove mi va, brucio la vita eppure non ho fretta; rifiuto l’uniforme, gli inviti della pubblicità, pranzo coi neri, ceno coi rossi, mi fidanzo con chi mi va; io sono strano, forse per questo più umano eh già, io sono strano”). Ma soprattutto a colori.

Gli esordi di Renato Zero in un’Italia non ancora ‘moderna’

Renato Zero comincia a imporsi negli anni ‘60, gli anni del boom economico, della speculazione edilizia, delle prime rivendicazioni sociali, della fuga dalle campagne verso l’urbanizzazione e l’industrializzazione. Un’Italia in progresso e in movimento, ma anche irreggimentata nelle troppe gabbie dell’ipocrisia, conformiste e massificanti. Tra cui la politica, la religione, la famiglia, l’amore, l’esercito, i media, l’ordine costituito, le contestazioni e le prime violenze di piazza. In quell’Italia in bianco e nero, irrompe un folletto a colori. I colori stravaganti della sua faccia dipinta, dei suoi costumi attillati e piumati e sfavillanti di lustrini e paillettes, dei suoi testi dissacratori, della sua musica senza pentagramma e dei suoi balli senza metronomo.

E dire che Renato Fiacchini è figlio di un poliziotto, ha studiato dalle suore, ha tre zii preti e un quarto intellettuale comunista (Mario Tronti). Ballerino di fila per Don Lurio e Rita Pavone, comparsa in tre film di Fellini, randagio fra il Piper e i provini all’Rca. Ha avuto a che fare direttamente e non con Pasolini (Comizi d’amore), Moravia, Musatti, Warhol e Pirandello (Le maschere). Il primo provino fu col brano Supermarket del 1973, scritto con Franco Migliacci, l’autore di Nel blu dipinto di blu, e arrangiato da Piero Pintucci (che firmerà e produrrà i suoi primi travolgenti successi): una comica, burlesca storia d’amore fra un sedano e un pomodoro.

Il Teatro Tenda e la nascita di una lingua tutta ‘zeriana’

Così quell’Argento vivo, che non sta fermo mai, rompe a una a una quelle gabbie, con un talento spettacolare e una vitalità ginnica che spesso oscurano i suoi testi agli orecchi distratti della critica. Parole che a troppi parevano buttate lì a caso, e invece a rileggerle e riascoltarle oggi ben si comprende perché ogni sera, per anni, il Teatro Tenda di Zerolandia traboccasse di gente che faceva a pugni per passare due ore sotto il palco di quel ragazzo esile, bizzarro, leggero e variopinto come una farfalla. Anche lui era “impegnato”, ma diversamente dagli altri cantautori, quelli “politici”: anche grandissimi, ma tutt’altro che allegri.

Coperto di piume e di paillettes (“E mi trucco perché la vita mia non mi riconosca e vada via”) parlava di argomenti tabù. Dio, ambiente, guerra, sesso, aborto, droga, pedofilia, prostituzione, depressione, eugenetica, Aids, malattia, vecchiaia, chirurgia plastica, falsa democrazia, malainformazione, psichiatria, conflitti genitori-figli. Il tutto con qualche decennio d’anticipo sulla tabella di marcia nazionale. Ma lo faceva da trasgressore della non-trasgressione, dadaista e lunare, con quella lingua tutta sua. Paleobarattolo, ormonauta, zerofobia, zerolandia, zerofavola, zerofolli, zeromatti, erozero, fonopoli, sesso-o-esse, atomico-pathos, onda-gay, nonsensepigro, spiridiota, umaneria.

“È più utile ritrovare la propria anima che andare in piazza a sventolare una bandiera”. Parlava di noi, raccontando la sua storia. “Sarò lieto di togliervi alcuni complessi e di procurarvene altri”, diceva. Non sono mancate le polemiche: Tremila femministe tremila, con tremila bastoni tremila, volevano spaccarmi la faccia per come canto le donne. Gli ho detto: ‘Che faccio, cambio qualche parolina alle mie canzoni?’. Io non stimo tanto le femministe, io stimo le donne”.

La rinascita di Renato Zero dopo la crisi

Alla fine anni ‘80, la sua vena creativa sembra esaurita: i travestimenti hanno fatto il loro tempo, il tendone Zerolandia è stato chiuso, i critici lo massacrano e decretano il tramonto. Finché Renato risorge a Sanremo ‘91, senza trucco e in total black, con un brano (Spalle al muro) che pare autobiografico; e invece è di Mariella Nava (“Vecchio, diranno che sei vecchio”). Quel che riesce a scrivere e a cantare Zero nella sua terza vita, negli anni ‘90 e Duemila, è pura poesia: Nei giardini che nessuno sa, I migliori anni della nostra vita, Cercami, L’impossibile vivere, Qualcuno mi ha ucciso, Mentre aspetto il tuo ritorno, Prendimi. Solo per citarne alcune. Con l’album Amo, del 2013, il cantante romano è riuscito a diventare il primo e unico artista a livello mondiale ad avere raggiunto il primo posto in classifica in diversi anni per cinque decenni consecutivi. Segno di un affetto infinito di un pubblico (i suoi instancabili sorcini) che ha abbracciato più generazioni e che lui non ha mai tradito. Oltre che non avere mai tradito se stesso.

Chissà se Renato Zero consoliderà il proprio primato personale in questi anni ’20, in attesa di potercelo godere nuovamente sul palco, dopo lo speciale dedicatogli da Canale 5 ieri sera. Durante un recente concerto non aveva risparmiato una strigliata ai feticisti della videoripresa, che lo filmano con gli smartphone e i tablet dalle prime file: “Ahò, c’avete il Renato vero a du’ metri e lo guardate da dietro ‘sti cosi: ma che, siete matti? Ma quanno ve ricapito?. Speriamo subito. Tanti auguri, Renà.

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