Quali sono le condizioni dei prigionieri nelle carceri ungheresi?

Il caso di Ilaria Salis, l’insegnante 39enne arrestata a Budapest l’11 febbraio 2023 con l’accusa di aver partecipato a delle aggressioni a due neonazisti e di essere affiliata al gruppo di estrema sinistra Hammerbande, ha scosso l’opinione pubblica, soprattutto a causa delle immagini che mostrano la donna incatenata e con i ceppi alle caviglie durante un’udienza in tribunale. A rendere la situazione ancora più grave ci pensano alcune testimonianze della donna, che sollevano degli interrogativi sulle carceri ungheresi e sul rispetto dei diritti umani dei detenuti.

La presunta violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Secondo l’avvocato Eugenio Losco, uno dei legali di Salis, l’Ungheria avrebbe violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il quale stabilisce che nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti. In passato il Paese guidato da Viktor Orbán aveva già ricevuto delle condanne per aver violato la disposizione. Nel 2017, per esempio, la Corte europea per i diritti dell’uomo aveva condannato l’Ungheria a risarcire con 17mila euro una famiglia migrante irachena alla quale aveva riservato un trattamento disumano, arrivando in più occasioni ad ammanettare e legare pubblicamente al guinzaglio il padre davanti ai figli minorenni.

La testimonianza di Salis sulla vita in carcere

A far discutere non è solo il trattamento riservato a Salis in tribunale, ma anche la sua testimonianza sulla vita all’interno di un carcere ungherese. In un documento risalente al 2 ottobre 2023 e reso pubblico di recente, la donna racconta di essere costretta a passare 23 ore su 24 all’interno di “una cella minuscola e senza aria, tra gli scarafaggi, il vitto scarso, senza possibilità di comunicare, trattata come una bestia al guinzaglio”. Ha anche rievocato il momento del suo arresto, quando è stata lasciata in mutande, reggiseno e calzini, per poi essere obbligata a rivestirsi con gli “abiti sporchi, malconci e puzzolenti che mi hanno fornito in questura e a indossare un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia”. Per cinque settimane non ha potuto indossare altro e per sette giorni non ha ricevuto carta igienica, sapone e assorbenti da chi avrebbe dovuto fornirglieli ed è riuscita a ottenerli solo grazie all’aiuto di una detenuta ungherese.

Ilaria Salis
Ilaria Salis prima della prigionia in Ungheria | Foto fornite dal padre Roberto Salis ANSA /NPK – Newsby.it

Salis ha raccontato di essere stata tormentata dalle cimici dei letti per i primi tre mesi di prigionia e di aver ricevuto delle lenzuola di ricambio solo dopo cinque settimane dal suo ingresso in carcere. Le celle sono piene di scarafaggi, che infestano anche i corridoi esterni assieme ai topi. A rendere l’esperienza terribile non sono solo le condizioni igieniche, ma anche la totale mancanza di socialità. “Ogni volta che dobbiamo sostare in corridoio dobbiamo stare rivolte verso il muro” ha spiegato l’insegnante. Per lei la situazione è ancora più grave, perché non capisce l’ungherese, l’unica lingua parlata all’interno della prigione, e, per via di questa sua lacuna, non l’è stato neppure concesso iscriversi alle lezioni di scuola elementare. Come se non bastasse, per sei mesi non ha potuto mettersi in contatto con la sua famiglia.

L’unica attività che può svolgere all’interno del carcere è partecipare a un laboratorio di attività manuali. Gli altri detenuti possono ricevere un compenso per il proprio lavoro, ma per lei, essendo straniera, non è prevista questa possibilità. In seguito all’arresto, la donna ha fatto presente di avere un’ecografia programmata in Italia a marzo, necessaria per tenere d’occhio un nodulo, ma le è stato concesso di farla solo a giugno e non ha nemmeno ricevuto il referto. “La dottoressa mi ha detto a voce che andava tutto bene e che non dovevo svolgere altri controlli”.

L’Ungheria smentisce

L’attenzione internazionale sulle condizioni detentive di Ilaria Salis non è sfuggita al governo ungherese, che non ha esitato a difendere il proprio sistema carcerario, definendolo “in linea con gli standard dell’Unione europea”. Su X (l’ex Twitter), Zoltan Kovacs, il Segretario di Stato per le comunicazioni e le relazioni internazionali dell’Ungheria, ha dichiarato che in questo caso è errato parlare di “condizioni disumane” e sarebbe meglio parlare di precauzioni in linea con la gravità del crimine del quale è accusata la donna.

L’amministrazione penitenziaria ha definito “pure menzogne” le accuse mosse da Roberto Salis, il padre di Ilaria, e il responsabile Mihaly Kovacs ha affermato che i detenuti ricevono tre pasti al giorno e cure mediche adeguate.

Il problema più grosso delle carceri ungheresi: la sovrappopolazione

Secondo un report stilato a dicembre 2023 dall’Hungarian Helsinki Committee, un’organizzazione non governativa per i diritti umani con sede a Budapest, uno dei più grossi problemi del sistema carcerario ungherese è la sovrappopolazione, che porta a condizioni di prigionia non in linea con gli standard dell’Unione europea. Tra i problemi rilevati nelle carceri ci sono la presenza di animali infestanti, l’assenza di un numero sufficiente di attività finalizzate alla reintegrazione sociale e il divieto a qualsiasi contatto fisico tra i detenuti e i loro visitatori, che rappresenta una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, il quale tutela il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”.

Le condizioni detentive disumane nelle carceri ungheresi

Il problema della sovrappopolazione delle carceri era stato rilevato dall’Hungarian Helsinki Committee già nel 2016. Dai dati forniti era emerso che in alcune strutture penitenziarie si era arrivati a superare persino il doppio del numero massimo di detenuti previsto. Inoltre, da un’indagine del Commissario per i Diritti Umani László Székely era emerso che certe prigioni non erano adatte a ospitare né i carcerati né il personale addetto alla loro sorveglianza.

Tali strutture violavano ogni regolamento europeo esistente, a partire dalla dimensione delle celle inferiore ai tre metri quadrati previsti dalla legge. I muri e i pavimenti erano in condizioni terribili e gli unici bagni presenti erano in comune tra i detenuti e pieni di muffa. Persino i tavoli non erano a norma, a causa della presenza di spigoli affilati. Durante l’ispezione di Székely, i cortili nei quali i detenuti potevano camminare erano sommersi dall’acqua. Gli uffici del personale erano privi di luce naturale e non c’erano finestre nelle aree ristoro. Per quanto riguarda la sicurezza, i monitor presenti erano in condizioni terribili e non era possibile effettuare delle registrazioni tramite le videocamere di sorveglianza, rendendo di fatto impossibile ottenere delle prove di eventuali abusi.

Le condizioni detentive denunciate da Salis non sembrano quindi rappresentare un caso isolato, bensì una costante che getta delle ombre sinistre sul sistema penitenziario ungherese e sulla sua incapacità di adeguarsi alle normative europee e risolvere in modo concreto problemi presenti da anni nelle sue carceri.

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