Cecenia, Georgia e Crimea: le precedenti invasioni di Putin

L’invasione dell’Ucraina è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia militare della Russia sotto la guida di Vladimir Putin. Il 69enne ex funzionario del KGB ha ricoperto per quattro volte la carica di presidente della Federazione Russa – dal 1999 al 2008 e dal 2012 a oggi – con due brevi intervalli – dal 1999 al 2000 e dal 2008 al 2012 – da primo ministro del Paese.

Le precedenti invasioni di Putin

In questi quasi 23 anni al comando, Putin ha ordinato diverse operazioni militari nelle aree che un tempo erano sotto l’influenza dell’Unione Sovietica; perpetrando così quella che secondo molti osservatori è una vera e propria politica imperialista. Vediamo quali sono i precedenti conflitti avviati dal leader del Cremlino.

Cecenia (1999)

Il primo è la seconda guerra cecena, combattuta fra il 1999 e il 2009. In quel caso, l’obiettivo della Russia fu quello di riottenere il controllo sui territori in mano ai separatisti ceceni dopo un precedente conflitto (1994-1996) concluso con la proclamazione della Repubblica cecena di Ichkeria. La seconda guerra cecena ha di fatto ribaltato l’esito della prima, assicurando grande popolarità a Putin, che da poco ricopriva la carica di primo ministro.

Il conflitto scoppiò anche come rappresaglia russa contro gli attentati di Bujnaksk, Mosca e Volgodonsk, per i quali il Cremlino accusò i ribelli ceceni. Il 1° ottobre 1999 Putin dichiarò illegittima l’autorità dell’allora presidente e del Parlamento ceceni e lanciò l’offensiva terrestre che portò alla definitiva conquista dell’intero territorio nel maggio del 2000. Infine, nominò il leader ceceno Akhmat Kadyrov capo ad interim del nuovo governo filorusso.

Georgia (2008)

Il secondo episodio è la guerra che nell’agosto 2008 vide contrapporsi la Georgia, la Russia e le repubbliche separatiste filorusse dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia. Il conflitto scoppiò al culmine di un’escalation di tensioni e di peggioramento delle relazioni diplomatiche fra il governo georgiano e quello russo. La Federazione Russa ha sempre descritto l’invasione militare come un tentativo di tutelare l’autodeterminazione degli osseti del Sud e degli abcasi.

È ritenuta la prima guerra del 21esimo secolo e fu combattuta principalmente nella regione della Transcaucasia. Secondo alcuni analisti, però, questo scontro è visto come espressione della volontà di Putin di ampliare la ridotta sfera d’influenza della Russia post-sovietica con l’uso della forza. Nel 2021 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accusato la Federazione Russa di violazioni dei diritti umani nelle regioni separatiste ancora occupate.

Crimea (2014)

Alcuni storici vedono il conflitto in Crimea nel 2014 come il naturale prosieguo di quanto avvenuto in Georgia sei anni prima. L’invasione dell’esercito di Mosca portò alla separazione della penisola della Crimea (dove la maggioranza della popolazione è di etnia russa) dal resto dell’Ucraina. La crisi scoppiò dopo l’esautoramento, nel febbraio 2014, dell’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich, filorusso: il governo locale rifiutò infatti il riconoscimento del nuovo governo, la cui legittimità fu invece riconosciuta dagli Usa.

Ma non dalla Russia di Putin, che mobilitò le truppe e autorizzò l’occupazione militare della penisola. Il governo locale si fece invece promotore di un referendum per ottenere l’indipendenza dall’Ucraina. Vinsero, con il 95% dei consensi, i separatisti, anche se l’esito della consultazione non è ritenuto valido dagli Usa, dall’Ue e da 71 Paesi dell’Onu, i quali la ritengono una violazione del diritto internazionale e della Costituzione ucraina. A ritenerla valida è, ovviamente, la Russia.

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