WhatsApp, arriva il primo reato
di diffamazione dal proprio stato

La Corte di Cassazione ha stabilito che anche su WhatsApp è diffamazione pubblicare contenuti offensivi sul proprio stato. Era già avvenuto per Facebook, Instagram e Twitter. E ora varrà anche per l’applicazione di messaggistica. Il cui contenuto è visibile a molte persone. Tutti i contatti in rubrica che sul proprio telefono hanno scaricato l’App, infatti, possono di fatto vedere quanto pubblicato. Da qui, il reato di diffamazione, commesso, secondo l’articolo 595 del Codice penale da “chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.

Il caso giudiziario che ha riguardato la diffamazione su WhatsApp

Come riporta NewSicilia, i giudici supremi si sono trovati di fronte al primo caso di questo tipo in Italia di diffamazione che riguarda WhatsApp. A finire sotto processo è stato un uomo, accusato a Caltanissetta di avere volontariamente pubblicato una frase offensiva rivolta a una donna. Era presente tra i contatti e dunque destinataria, tra gli altri, del messaggio, sul proprio stato WhatsApp. Dopo aver visualizzato lo stato ed aver evidentemente capito fosse rivolto a lei, la vittima ha denunciato l’uomo, che è stato condannato nei tre gradi di giudizio.

La difesa dell’imputato e la conferma della condanna in Cassazione

L’imputato aveva presentato ricorso contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Caltanissetta, sostenendo l’assenza della prova oltre ogni ragionevole dubbio che i messaggi fossero rivolti alla persona offesa e che potessero essere visti da tutti i suoi contatti nel telefono. Secondo la difesa, infatti, non tutti i contatti possono essere in possesso dell’app di messaggistica più famosa del mondo. I supremi giudici hanno però confermato la decisione presa in primo e secondo grado, infliggendo all’uomo una multa da 3mila euro e spese legali da risarcire e stabilendo che l’uomo non ha limitato la visione della frase offensiva rivolta alla donna, e lo ha fatto consapevolmente, perché se avesse voluto rivolgersi direttamente alla vittima, avrebbe avuto più senso inviarle un messaggio personale”.

Impostazioni privacy