Referendum divorzio, 50 anni fa la vittoria del No all’abrogazione della legge

Quella per il referendum divorzio, che si tenne nel maggio del 1974, cinquant’anni fa e coinvolse praticamente tutto il Belpaese

Il 12 e 13 maggio 1974, cinquant’anni fa, in Italia si tenne il referendum sul divorzio, il primo abrogativo nella storia della Repubblica mirato a cancellare una legge introdotta con difficoltà nel 1970.

La Democrazia Cristiana (DC), il Movimento Sociale Italiano (MSI) e la Chiesa si opposero fermamente a questa legge. Nei quattro anni tra l’introduzione della legge e il referendum, il dibattito tra il fronte “divorzista” e quello “antidivorzista” si intensificò, culminando in uno scontro tra diverse visioni della famiglia, della società e del paese.

Cinquant’anni fa ci fu il referendum abrogativo sul divorzio

Quella campagna referendaria fu la prima ad avere un impatto mediatico rilevante: i giornali si schierarono chiaramente da una parte o dall’altra, i leader politici sfruttarono la televisione, oltre a comizi, convegni, volantini e manifesti, per promuovere le loro idee.

Personaggi famosi si espressero pubblicamente, parteciparono a spot cinematografici e incisero canzoni. Associazioni, collettivi, movimenti studenteschi e femministi organizzarono pratiche più radicali dal basso: sit-in, incatenamenti, scioperi della fame, occupazioni e sabotaggi.

campagna per il referendum di abrogazione sul divorzio, 1974
campagna per il referendum di abrogazione sul divorzio, 1974 – Newsby.it

 

Fu una campagna intensa, descritta da Edoardo Novelli, professore all’Università degli Studi Roma Tre, e Gianandrea Turi, giornalista, come “appassionata, originale, giocosa e creativa” nel loro libro Divorzio. Storia e immagini del referendum che cambiò l’Italia, pubblicato recentemente da Carocci editore.

La legge che introdusse il divorzio in Italia fu approvata definitivamente alla Camera il primo dicembre 1970, dopo una sessione parlamentare durata oltre 18 ore e un lungo processo di approvazione iniziato nel 1965.

Nel maggio 1970, poco prima dell’introduzione del divorzio, fu approvato il referendum abrogativo di iniziativa popolare. Nel 1971 furono raccolte 1 milione e 300mila firme, portando così al primo referendum abrogativo.

Il referendum era sostenuto attivamente dal Vaticano e dai partiti che non erano riusciti a bloccare la legge in parlamento: la Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani e l’MSI di Giorgio Almirante, che aveva divorziato in Brasile e si era poi risposato.

A favore del divorzio e contrari all’abrogazione erano i comunisti, socialisti, radicali, il Partito Repubblicano, quello Liberale e Socialdemocratico, la LID (Lega Italiana per l’Istituzione del Divorzio) nata nel gennaio 1966, varie forze extraparlamentari come Avanguardia Operaia e Lotta Continua, i movimenti femministi, una parte di cattolici e altri gruppi e comitati, sia organizzati che spontanei.

Il 12 e 13 maggio andarono a votare più di 33 milioni di persone, l’87,72 per cento di chi ne aveva diritto. Il NO vinse con il 59,26 per cento dei voti. In molti e molte votarono allontanandosi dalle indicazioni dei partiti di riferimento e la legge sul divorzio conosciuta come “Baslini-Fortuna” (dal nome dei due deputati Loris Fortuna, socialista, e Antonio Baslini, liberale, che avevano firmato due proposte di legge poi accorpate) fu definitivamente confermata.

La campagna per il referendum si svolse in un periodo di grande cambiamento e difficoltà per l’Italia. Il Paese aveva superato il “boom economico” e stava affrontando la crisi petrolifera dovuta alla guerra dello Yom Kippur.

Era un’epoca in cui la Fiat 500, simbolo del “boom”, stava per essere ritirata dal mercato, mentre le manifestazioni studentesche e le lotte operaie agitavano le piazze.

Erano anche gli anni dell’emergere dei movimenti femministi, degli scontri studenteschi davanti alle università, degli attentati, dei sequestri, delle bombe, delle Brigate Rosse e delle organizzazioni terroristiche di estrema destra.

Tuttavia, nel 1974, nessuno di questi eventi ottenne tanta attenzione mediatica quanto la discussione sul divorzio.

La campagna elettorale per il referendum vide protagonisti non solo i partiti e i movimenti, ma anche i quotidiani e le riviste, compresi quelli non formalmente legati a partiti politici.

A favore del divorzio si schierarono il Corriere della Sera, La Stampa, Paese Sera, Il Secolo XIX, L’Espresso, ABC, L’Europeo, Panorama e alcuni rotocalchi femminili molto diffusi, come Grand Hotel, oltre a fumetti come Diabolik e Linus, che a maggio pubblicò una copertina con un grande NO sovrapposto alla scheda elettorale.

Contrari al divorzio erano invece Il Tempo, Il Gazzettino, L’Osservatore Romano, Il Popolo e Il Secolo d’Italia, tra gli altri.

Come raccontano nel loro libro Novelli e Turi, la narrazione dei partiti per il SÌ fu cupa e drammatica, “tesa ad alimentare la paura, il senso di colpa e a criminalizzare i sostenitori del divorzio”.

Nella propaganda della DC le ragazze dicevano di volere un marito che credesse nel matrimonio e non nel divorzio e i nonni si dicevano angosciati per il futuro dei loro nipoti. Durante i comizi Fanfani sosteneva che in caso di vittoria del NO i mariti sarebbero scappati con le domestiche lasciando da sole le mogli.

La DC produsse anche un manifesto in cui, riportando un rapporto dell’ONU riferito alla delinquenza negli Stati Uniti, si diceva che “il 45% di tutte le persone arrestate” erano ragazzi con meno di 18 anni e che quasi tutti “erano figli di genitori divorziati”.  Più in basso si aggiungeva: “Qualcuno dirà: “Ma l’Italia non è l’America!” Rispondiamo: può sempre diventarlo”.

Quando, dopo il voto, arrivarono i primi risultati, nelle strade e nelle piazze iniziò la festa: Grande vittoria della libertà”, titolò L’Unità, riprendendo le parole del segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer.

“Una valanga di no”, diceva l’Avanti, “Fanfani, la DC e i suoi tirapiedi fascisti, sepolti nel ridicolo e nella vergogna da una valanga di no”, si dilungava in prima pagina Lotta Continua, “L’Italia è un paese moderno. Vince il NO, il divorzio resta” annunciava La Stampa. Il titolo del quotidiano cattolico Avvenire fu piuttosto asciutto, di sole quattro parole: “Hanno prevalso i no”.

Nei giorni seguenti al voto si moltiplicarono gli interventi e gli editoriali: “Caro direttore, non posso scrivere l’articolo che mi ha chiesto”, iniziava per esempio Oriana Fallaci sull’Europeo del 23 maggio del 1974: “Per scrivere un articolo bisogna essere lucidi, bisogna pensare, e io non riesco a pensare stamani. Non riesco a essere lucida: sono troppo felice”.

Sulla rivista di controinformazione femminista Effe, nata nel febbraio del 1973, l’editoriale si intitolava “Hanno vinto le donne”: “È stato un No liberatorio, come gridato da diciannove milioni di bocche aperte ad un respiro, finalmente, più lungo”.

Pur non essendoci dati sul voto disaggregati per genere, il collettivo della rivista era certo che le donne avessero votato in massa per mantenere il divorzio: “Dicendo no, le donne hanno detto sì alla propria liberazione, alla gioia di un rapporto vivo e non putrefatto con l’uomo, alla fierezza di essere infine interlocutrici intelligenti dei propri figli”.

La legge del 1970 venne modificata nel 1978 e nel 1987, quando – grazie all’allora presidente della Camera Nilde Iotti che riuscì a ottenere l’accordo unanime di tutti i gruppi – si ridussero da cinque a tre anni i tempi necessari per arrivare alla sentenza definitiva. Nel 2015 è stata approvata una legge che introduce il cosiddetto divorzio breve, che riduce il periodo tra separazione e divorzio e anticipa lo scioglimento della comunione dei beni.

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