Presidente della Repubblica, da Greggio a Magalli: quante ‘mine’ schivate

L’elezione del Presidente della Repubblica è uno dei momenti più solenni e istituzionali del nostro Stato. Nel corso delle votazioni, però, non è raro che tra gli oltre mille soggetti che compongono l’Assemblea si nasconda qualche buontempone. Soprattutto nei primi scrutini, qualora non si sia ancora trovato un effettivo accordo sulle candidature.

Presidente della Repubblica: cosa succederà dal 24 gennaio

Lunedì 24 gennaio si entra nel vivo, con le votazioni che avranno inizio alle ore 15. La procedura prevede che, con 1.007 Grandi elettori chiamati a scegliere il Presidente della Repubblica, la maggioranza richiesta sia di 672 voti. Un quorum dei due terzi, richiesto per le prime tre votazioni. A partire dalla quarta si scende a 504. Il che rende indispensabile un accordo preventivo tra le coalizioni.

Se al momento il 2022 non sembra ancora presentare un candidato realmente forte, anche il passato recente non è stato privo di problemi. Lo stesso Sergio Mattarella, che giurò da Presidente della Repubblica il 3 febbraio, prevalse nei vari scrutini su alcuni “avversari” quantomeno discutibili. Ripercorriamo dunque cosa avvenne sette anni fa.

Il precedente del 2015, dal tormentone Magalli a Razzi

Un possibile patto tra Pd e M5s su un candidato comune venne subito meno. I dem decisero di presentare scheda bianca nei primi tre scrutini, mentre Forza Italia e centristi individuarono in Antonio Martino un loro possibile candidato. Lega e Fratelli d’Italia scelsero di votare Vittorio Feltri, mentre grandi polemiche arrivarono per la scelta di parte dell’universo pentastellato. Tra i nomi per il Presidente del Consiglio, infatti, si scatenò il tormentone semiserio di Giancarlo Magalli.

Ad ottenere più preferenze al primo scrutinio fu quindi l’ex giudice antimafia Ferdinando Imposimato, ma con sole 120 preferenze. Secondo, a quota 49, spuntò proprio Vittorio Feltri. Il futuro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si fermò a 5. Antonio Martino addirittura a 3. Solo un voto in più di Ezio Greggio, primo dei candidati davvero lontani dalle istituzioni tra coloro che ottennero preferenze nel 2015. Tra i voti dispersi figurarono poi quelli a Sabrina Ferilli, Giuliano Ferrara, il già annunciato Giancarlo Magalli, Luca Mangoni (il “disturbatore” di Elio e le Storie Tese), Ermanno Olmi, Antonio Razzi, Gigi Riva, Denis Verdini, Santo Versace e l’ormai novantenne Arnaldo Forlani.

Mattarella, Presidente della Repubblica battendo Lino Banfi

Non meglio andò nel secondo scrutinio, con Santo Versace davanti a Romano Prodi e lo stesso Mattarella (che ottenne le stesse preferenze di Razzi). Ezio Greggio, invece, ottenne più voti di Pier Luigi Bersani, Anna Finocchiaro e Franco Frattini. Tra i voti dispersi comparvero anche Barbara D’Urso e Enzo Iacchetti, scelti da qualcuno come possibile Presidente della Repubblica. Nel terzo scrutinio fu la volta di Francesco Guccini (stesse preferenze di Mattarella) e Roberto Bettega. Solo al quarto scrutinio, come detto, il Pd votò e Mattarella fu eletto. Battendo però, tra gli altri, Lino Banfi e Roby Facchinetti.

Altrettanto (se non più) caotica l’elezione del 2013, conclusa peraltro con una conferma di Giorgio Napolitano per un secondo mandato (fatto senza precedenti per l’Italia). Nota la baraonda che precedette quel voto, con la spaccatura tra M5s e Pd e poi tra le varie correnti del centrosinistra. L’universo pentastellato fece il nome di Stefano Rodotà come Presidente della Repubblica (dopo le rinunce di Milena Gabanelli e Gino Strada). I dem passarono invece nel corso delle votazioni da Franco Marini a Romano Prodi, con tanto di strappo di Bersani dopo la mancata elezione di quest’ultimo. Si passò quindi a Napolitano, dopo giorni di confusione. Caratterizzati, inevitabilmente, da votazioni al limite dell’assurdo. E talvolta oltre.

2013, centrosinistra nel caos: spunta Rocco Siffredi

Il primo scrutinio del 2013 vide quindi 521 voti a favore di Franco Marini. Non furono sufficienti per diventare Presidente della Repubblica (con la maggioranza fissata a 672), lo sarebbero stati al quarto scrutinio. Il centrosinistra peraltro disperse parecchi voti a causa delle numerose preferenze per Sergio Chiamparino, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Anna Finocchiaro e (sebbene esterna al Pd) Emma Bonino. Ma in quell’occasione presero voti anche Margherita Hack, Veronica Lario, Mara Carfagna, Valeria Marini (queste ultime due non eleggibili, perché non ancora cinquantenni) e Raffaello Mascetti. Proprio il conte della saga cinematografica “Amici miei”.

La baraonda vera e propria scoppiò nel secondo scrutinio. Qui, oltre ad Alessandra Mussolini che arrivò quarta per numero di preferenze, due voti andarono a Michele Cucuzza. Ma tra i nomi in lizza come nuovo Presidente della Repubblica comparvero quelli di Fiorello, Sophia Loren, Giovanni Trapattoni, Gianni Rivera. E anche Roberto Mancini e Rocco Siffredi, peraltro a loro volta non ancora cinquantenni. Aveva invece 94 anni Giulio Andreotti, altro candidato uscito da quel grottesco scrutinio.

Si proseguì nel terzo scrutinio, con le “nuove proposte” Giancarlo Antognoni, Antonio Cabrini, Drupi, Francesco Guccini, Miuccia Prada. E, curiosamente, Mario Draghi. Un briciolo di serietà tornò al quarto scrutinio, mentre al quinto spuntarono i nomi di Francesco De Gregori, il cantautore dialettale Luciano Ravasio e Gustav Thöni. La sesta fu la volta buona, con Napolitano confermato Presidente della Repubblica. Ma dopo una figuraccia indimenticabile, e che nel 2022 andrà evitata ad ogni costo.

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