Migranti, perché sono aumentati gli sbarchi. Da cosa fugge chi arriva in Europa

Conflitti, fame e crisi climatica. Il mix letale che spinge milioni di persone ogni anno a lasciare le proprie case. Alla fine del 2022, sono state oltre 108 milioni, inclusi 43 milioni di minori. In gran parte, il 70%, hanno trovato rifugio oltre confine e in Paesi a basso reddito. In altre parole, in Europa giunge solo una frazione.

Certo quest’anno il numero degli arrivi in Italia è raddoppiato rispetto al 2022, sfiorando quota 133mila, inclusi circa12mila minori, nei primi nove mesi nell’anno. Eppure, dati alla mano, non c’è alcuna “emergenza” né tanto meno una “invasione” in un Paese che conta quasi 60 milioni di abitanti, non si stanca di ripetere il portavoce per l’Italia dell’organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) Flavio di Giacomo.

L’emergenza a Lampedusa

C’è, piuttosto, una evidente difficoltà nella gestione dell’accoglienza. Emblematico quanto sta accadendo a Lampedusa, con l’hotspot dell’isola arrivato a ospitare fino a 7mila persone, quando potrebbe accoglierne al massimo 400.

Ora, dopo continui trasferimenti, via nave e aereo, la situazione nel centro di Contrada Imbriacola sta tornando lentamene alla normalità. Le persone che restano nella struttura sono ancora un migliaio, oltre il doppio della capienza regolamentare.

L’emergenza sull’isola di appena 6mila abitanti è figlia del progressivo svuotamento del mar Mediterraneo di navi di soccorso, che ha portato a un’impennata degli arrivi autonomi dei barchini di migranti sull’isola.

Lo spiega bene in numeri il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa. Tra il 2015 e il 2017, gli sbarchi sono stati in media 150mila, dei quali solo il 9% (14mila) a Lampedusa. Negli ultimi dodici mesi invece gli arrivi sono stati 157mila, dei quali il 66% sull’isola (105mila). In altre parole, “quella di Lampedusa è una crisi causata dall’Italia”. Che tradotto significa “abbiamo smesso di fare soccorso attivo”.

Come conferma Di Giacomo, in passato, diversamente da quanto accade oggi, “la maggior parte” dei naufraghi “veniva salvata in mare e portata nei grandi porti siciliani, più adatti a questi sbarchi”.

Il fallimento dell’accordo con la Tunisia

Come documentano i dati del Viminale, la maggior parte delle persone che raggiungono il nostro Paese proviene dalla Tunisia (54mila, pari al 61%), a differenza dello scorso anno, quando partivano perlopiù dalla Libia.

La Tunisia è uno snodo di transito cruciale per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale proveniente dall’Africa Sub-Sahariana, a cui si somma il flusso di chi fugge dalla crisi economica e dalla repressione politica del Paese. Dal 2022 è divenuto il principale hub di partenza verso l’Italia, sostituendosi alla Libia, finanziata e equipaggiata da Roma e da Bruxelles per trattenere e respingere chi tenta la traversata.

Un fatto che suggerisce il sostanziale fallimento dell’accordo che nel luglio scorso Italia e Unione europea hanno siglato con il presidente tunisino Kais Saied. Piatto forte dell’intesa, sulla falsa riga di quella stretta in passato con la Libia, è stato proprio l’impegno da parte di Tunisi a bloccare le partenze verso l’Europa in cambio di fondi (105 milioni di euro) destinati al controllo dei confini, alle operazioni di soccorso in mare e al rimpatrio, senza la previsione tuttavia di alcun meccanismo di sanzioni contro la violazione dei diritti umani e la repressione interna.

Bisogna stroncare i trafficanti e distruggere il loro business”, ha commentato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, convinta che quello siglato con Tunisi sia un modello da replicare altrove. Altri 150 milioni di euro da iniettare nel bilancio tunisino, Bruxelles dovrebbe versarli per rimpinguare le casse dissestate del Paese.

La Commissione però non è disposta a metter mano al portafogli fino a che non si sbloccherà lo stallo tra Fondo monetario internazionale e Saied, con il primo che chiede riforme fiscali “lacrime e sangue” prima di versare il prestito da 1,9 miliardi e il secondo che ha issato una trincea contro i “diktat” del Fmi.

Ancora pochi giorni fa, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tornata a sollecitare Bruxelles. “Bisogna mandare avanti il memorandum, implementarlo e fare arrivare le risorse”, ha detto puntando il dito contro “i soliti tentativi della sinistra europea di minare” l’intesa.

Donne in Africa
Foto | Unsplash / Ninnojackjr – Newsby.it

L’inverno tunisino

È dalla Tunisia che nel gennaio 2011 ha preso il via la “primavera araba”, con la popolazione che si è ribellata contro il regime autoritario e corrotto del presidente Zine al-Abidine Ben Ali, avviando un processo di transizione democratica con l’adozione di una nuova Costituzione.

L’ottimismo iniziale si è infranto presto contro la realtà. La fragilità delle nuove istituzioni democratiche, la pandemia e una protratta crisi economica hanno creato il terreno di coltura per l’accentramento del potere nelle mani dell’uomo forte di Tunisi, Saïed, che ha sciolto Consiglio superiore della magistratura e Parlamento e adottato una nuova Carta fondamentale. In parallelo ha inasprito la repressione incarcerando decine di oppositori politici, attivisti e critici.

Un giro di vite che fa il paio con la retorica razzista, incentrata sulla teoria della “grande sostituzione etnica”, nei confronti dei migranti sub-sahariani, che ha dato la stura a una vera e propria “caccia al nero”.

Un Paese sull’orlo del default

Una volta venuta meno la politica statalista dei Ben Ali, la crisi economica si è avvitata con l’impennata dell’inflazione e del debito pubblico. Le ricette a base di austerità richieste dal Fondo Monetario Internazionale in cambio di prestiti non hanno contribuito a risollevare le sorti del Paese sull’orlo del default.

Conflitti e colpi di Stato

La Tunisia del resto non è un caso isolato. Tutta la regione è attraversata da instabilità pronte a deflagrare che costringono alla fuga donne, uomini e bambini. Basti pensare che solo negli ultimi tre anni il Sahel ha registrato otto i colpi di Stato.

Il golpe militare che il 30 agosto ha deposto il presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba, appena rieletto per un terzo mandato, è arrivato un mese dopo il putsch in Niger e si aggiunge a quelli che dal 2020 a oggi hanno minato il processo democratico in Mali, Guinea, Burkina Faso e Ciad.

La crisi climatica

Dalla Libia, devastata dalle inondazioni, alla Grecia, preda degli incendi e poi della tempesta, il Pianeta è in ebollizione. La crisi climatica, come continua a ripetere il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, è fuori controllo”.

Disastri naturali, siccità, desertificazione e insicurezza alimentare spingono milioni di persone alla fuga. Secondo l’Unhcr, dal 2008 a oggi in media oltre 26 milioni di persone ogni anno abbandonano le proprie case a causa dei disastri naturali provocati dal cambiamento climatico.

E le prospettive non lasciano spazio all’ottimismo. L’Institute for Economics and Peace stima in 1,2 milioni le persone costrette a emigrare nei prossimi 30 anni a causa della crisi climatica.

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