Ucraina, torinese pronto a combattere: “Rispondo all’appello di Zelensky”

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In Ucraina siamo ormai giunti all’ottavo giorno di scontri tra l’esercito russo di Vladimir Putin e quello della resistenza, guidato da Volodmymr Zelensky. Ed è stato proprio il premier ucraino, negli scorsi giorni, a lanciare un appello rivolto a chiunque intenda unirsi all’esercito ucraino per provare a respingere l’invasione russa. Un appello al quale ha deciso di rispondere Marco Schiara, torinese cinquantenne, che si è detto pronto a partire in direzione Kiev per imbracciare le armi.

Marco Schiara: “Sono pronto ad arruolarmi in Ucraina”

Ho fatto il militare nel 1989, sono cittadino italiano e sono impiegato presso un istituto di credito da 22 anni. Domenica scorsa sono venuto in contatto con alcune persone che manifestavano per fermare la guerra in Ucraina. A loro ho chiesto se avessero un contatto per partecipare al conflitto in seguito all’appello mosso dal presidente Zelensky“, le sue parole.

E ancora: “Ho il porto d’armi, quello sportivo. Chiaramente partirei su base volontaria e ho un’esperienza legata all’utilizzo delle armi. Io ho fatto soltanto il servizio di leva, ero nei Bersaglieri in un corpo di operatività della NATO. Periodicamente faccio comunque dei tiri per puro spirito sportivo al poligono di tiro“, spiega.

Dopo aver visto le immagini in televisione e quelle che circolano sul web, Schiara ha sentito di dover fare qualcosa in prima persona in difesa del popolo ucraino. “La decisione è stata dettata sull’onda emotiva. Non sentendomi sicuro come europeo, soprattutto la mia famiglia, e vedendo quello che Putin sta facendo nei confronti di un popolo, ho pensato che si debba aiutare direttamente. Dobbiamo impegnarci come persone“.

Per Schiara, però, non è semplice riuscire nel proprio intento. “Sto riscontrando difficoltà perché mancano dei documenti necessari per la partecipazione, ovvero il passaporto e un eventuale visto di accoglimento sul quale non ci sarebbero problemi da parte dell’Ucraina. Le difficoltà sono legate al fatto che lo Stato italiano non riconosce, a differenza di quello inglese, la possibilità dei cittadini di poter auto determinare la propria scelta“, conclude.

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