Medio Oriente, Usa ancora nel mirino: uccisi tre soldati nel raid a una base in Giordania. Washington accusa l’Iran

Il presidente americano Joe Biden ha promesso di “farla pagare” ai “responsabili” dell’attacco a una base Usa in Giordania in cui hanno perso la vita tre soldati. È solo l’ultimo episodio del genere dall’inizio della guerra a Gaza ma è la prima volta che i militari americani vengono uccisi dal fuoco ostile in Medio Oriente e l’incidente promette di alimentare ulteriormente le tensioni con il rischio di un allargamento del conflitto alla regione.

Il capo della Casa Bianca ha puntato il dito contro Teheran, che però ha negato ogni coinvolgimento. “Mentre stiamo ancora raccogliendo gli elementi di questo attacco, sappiamo che è stato compiuto da gruppi militanti radicali sostenuti dall’Iran che operano in Siria e Iraq”, ha detto Biden. “Gli Stati Uniti risponderanno all’attacco ma non cerchiamo la guerra con l’Iran” né tanto meno un conflitto in Medio Oriente, ha gettato acqua sul fuoco d’altro canto il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby.

La rivendicazione della sigla filo-iraniana

A rivendicare l’attacco messo a segno nella notte con un drone alla Tower 22 nel nord est della Giordania, vicino al confine con la Siria, è stata la Resistenza islamica in Iraq (Iri), una coalizione di milizie sciite filo-iraniane. Si tratta di una sigla nata nell’ottobre 2023 – effetto collaterale della guerra di Gaza – che non fa capo a un gruppo specifico, piuttosto alla galassia dei movimenti armati sostenuti dall’Iran in Iraq. Una sorta di organizzazione “ombrello” che ha nel mirino gli Stati Uniti per il sostegno all’offensiva militare lanciata da Israele nella Striscia di Gaza.

Non è il primo attacco rivendicato dalle milizie irachene Al-Muqawama contro Washington. Il primo risale al 17 ottobre scorso, quando alcuni droni hanno colpito la base aerea di Harir nel Kurdistan iracheno.

La nascita dell’organizzazione, ispirata dalla Forza Quds dei Guardiani della Rivoluzione dell’Iran, spiega il Washington Institute, consente alle milizie di lanciare attacchi sotto una sigla generica mettendo al riparo i singoli gruppi da eventuali rappresaglie. L’impiego del nuovo “brand” si inserisce nel solco della strategia che Iran e i suoi alleati nella regione utilizzano dal 2019 per non assumersi la responsabilità degli attacchi contro gli americani.

I pasdaran iraniani dal canto loro svolgerebbero un ruolo di coordinamento delle fazioni della Resistenza islamica in Iraq. Sotto l’ala protettiva del marchio operano gruppi come Harakat Hezbollah al-Nujaba, che il 30 ottobre ha annunciato pubblicamente la sua affiliazione con un video condiviso sul canale Telegram.

Il presidente americano Joe Biden
Il presidente americano Joe Biden | Foto ANSA – Newsby.it

Usa nel mirino in Medio Oriente

Quello di ieri è anche il primo attacco dall’inizio della guerra a Gaza alle truppe Usa in Giordania, un Paese alleato chiave in Medio Oriente, dove stazionano circa 3mila militari americani. Il rischio di un’escalation e di un allargamento del conflitto si fa sempre più concreto, dopo i ripetuti attacchi, oltre cento, delle milizie filo iraniane contro le truppe Usa in Iraq, Siria e nel Mar Rosso, a cui il Pentagono ha risposto colpo su colpo.

Accuse all’Unrwa, altri Paesi tagliano i fondi

Intanto si allunga la lista dei Paesi che hanno deciso di sospendere i finanziamenti all’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, dopo le accuse di un presunto coinvolgimento da parte di dodici membri dello staff nell’attacco del 7 ottobre lanciato da Hamas contro Israele. Dopo gli Stati Uniti, si sono aggiunti Canada, Australia, Italia, Regno Unito, Finlandia, Paesi Bassi, Germania, Giappone e Austria.

Da più parte si invoca un ripensamento. A cominciare dall’Organizzazione mondiale della Sanità. “Facciamo appello ai donatori affinché non sospendano i loro finanziamenti all’Unrwa in questo momento critico. Tagliare i finanziamenti non farà altro che danneggiare la popolazione di Gaza che ha un disperato bisogno di sostegno“, ha scritto su X il direttore dell’Oms Tedros Ghebreyesus.

Anche la Giordania ha chiesto di revocare la stop ai fondi. “L’Unrwa è l’àncora di salvezza per oltre 2 milioni di palestinesi che soffrono la fame a Gaza”, ha detto il ministro degli Esteri e vice primo ministro Ayman Safadi. La popolazione della Striscia “non dovrebbe essere punita collettivamente per accuse contro 12 persone sui 13mila dipendenti. L’Unrwa ha agito in modo responsabile e ha avviato un’indagine”.

L’Agenzia dell’Onu guidata da Philippe Lazzarini ha già fatto sapere che non sarà in grado di continuare le operazioni a Gaza e in tutta la regione oltre la fine di febbraio se i finanziamenti non verranno ripristinati.

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