Soldati italiani in Libano, quanti sono e cos’è la missione Unifil

Le primi vittime civili registrate in Libano dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas alimentano i timori di un allargamento del conflitto a nord. Il fronte settentrionale, tra dichiarazioni belligeranti, raid e incursioni, si regge su un equilibrio precario pronto a precipitare a ogni colpo d’artiglieria. Domenica scorsa un attacco aereo delle forze di Tel Aviv ha ucciso nel sud del Paese un giornalista libanese, Samir Ayub, corrispondente per Russia TV, le sue tre figlie (9, 10 e 14 anni) e la zia, oltre a ferire gravemente la madre.

Crescono di conseguenza le preoccupazioni per il contingente Onu della missione Unifil schierato lungo il confine, la Linea Blu fra i territori libanesi e Israele, in tutto oltre 10mila militari, inclusi circa 1.200 italiani.

Poco rassicuranti in questo senso, le parole del ministro degli Esteri dell’Iran Hossein Amir Abdollahian ieri sera ai microfoni del Tg1: “L’Italia deve preoccuparsi per i suoi soldati in Libano dal momento che l’area di confine del Libano è molto instabile. Ci sono scontri ogni giorno ed Hezbollah ha una propria strategia”, ha detto aggiungendo che “la guerra si espanderà inevitabilmente, se Israele continuerà con i suoi attacchi contro i civili a Gaza. In Libano e Yemen operano altre forze di resistenza che potrebbero aumentare le loro azioni”. Un riferimento a Hezbollah, il “partito di dio” filo iraniano, e ai ribelli Huthi, sostenuti anch’essi da Teheran, che pochi giorni fa hanno lanciato droni verso Israele.

In Libano situazione “abbastanza tesa”

A confermare che la situazione nel sud del Libano sia “abbastanza tesa” è stato anche il generale Francesco Figliuolo, a capo del Comando operativo di vertice interforze (Covi), che la scorsa settimana ha visitato i soldati italiani nella base militare di Shamaa, a soli 7 chilometri a nord della linea del fronte. “I nostri militari sono molto competenti e professionali, svolgono la missione con abnegazione e italica umanità”.

Malgrado l’instabilità, Figliuolo ritiene “ci siano le condizioni” perché la missione continui.Ritengo che in questi momenti una forza di pace e di interposizione abbia la sua valenza, perché comunque serve a stemperare la tensione, oltre a sostenere la popolazione locale e ad assistere le forze armate libanesi, pilastro istituzionale del Libano”, ha spiegato.

Missione Unifil in Libano
Missione Unifil in Libano nel 1980 | Foto X @UNIFIL

Finora sono tre le basi militari di Unifil colpite dai lanci di razzi che Israele e Hezbollah si scambiano da settimane. Nel mirino, lo scorso 15 ottobre, è finito anche il quartier generale della missione dell’Onu Unifil a Naqoura. In quell’occasione il ministro della Difesa Guido Crosetto ha spiegato che l’obiettivo non erano i militari della missione. A ogni modo, ha rassicurato, “qualora ci fossero pericoli” i caschi blu verranno fatti rientrare in Italia. “La scelta sarebbe scontata, anche perché i nostri militari sono lì, in Libano, con regole di ingaggio molto chiare che non prevedono né la preparazione né l’attrezzatura per qualcosa di diverso da Unifil, che è un’operazione di monitoraggio”.

I numeri della missione Unifil

Gli oltre 10mila militari della missione nel sud del Libano provengono da 49 nazioni diverse. Il quartiere generale si trova nella base di Naqura. Il generale spagnolo Aroldo Lazaro è comandante di tutti i caschi blu. La base militare italiana a Beirut invece è sotto la guida del colonnello Sandro Iervolino.

La missione Unifil (United Nations Interim Force In Lebanon) è stata approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel marzo del 1978, dopo l’invasione del Libano da parte delle forze armate israeliane. In base alle risoluzioni Onu, la forza di interposizione nel sud del Paese aveva con il compito di verificare il ritiro delle truppe israeliane e assistere il governo libanese. La partecipazione italiana alla missione è iniziata nel luglio 1979, con uno squadrone di elicotteri dell’esercito, dislocato presso Naquora.

Alla prima fase della missione, ne è seguita una seconda, al termine del conflitto tra Israele e Libano dell’agosto 2006. Con la risoluzione Onu 1701, il mandato di Unifil è stato potenziato. Al contingente, passato da 2mila a 13mila soldati, è stato affidato un ruolo di “cuscinetto” nel sud del Paese, da svolgere congiuntamente alla forze libanesi, per prevenire la ripresa delle ostilità.

Tra i nuovi compiti, ai caschi blu è stata affidata la responsabilità di monitorare l’effettiva cessazione delle ostilità nell’area compresa tra la “Blue Line” e il fiume Litani, assicurare “il disarmo dei gruppi armati in Libano”, nonché di prestare la propria assistenza per assicurare alle popolazioni civili l’accesso all’assistenza umanitaria e il ritorno sicuro e volontario delle persone sfollate.

Il contributo italiano alla missione si estende anche alla componente navale dell’Unifil (Maritime Task Force), per il controllo delle acque prospicienti il territorio libanese. Dall’inizio della seconda fase della missione Unifil, per quattro volte il comando è stato affidato a un generale italiano: Claudio Graziano nel 2007, seguito da Paolo Serra nel 2012, Luciano Portolano nel 2016 e Stefano Del Col nel 2018.

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