Salario minimo? Meno di 7 euro l’ora per oltre il 50% dei trentenni italiani

Un segnale d’allarme sempre più rumoroso e preoccupante. È quello che ha provato a lanciare Federcontribuenti, per quanto riguarda il tema legato al salario bassissimo spesso riservato ai giovani italiani.

L’ultima indagine condotta dalla Federazione italiana a tutela dei contribuenti e dei consumatori ha, infatti, rilevato dati allarmanti e che dovrebbero spingere a profonde riflessioni, oltre che a prendere concrete misure politiche ed economiche.

L’allarme di Federcontribuenti sul salario

Stando all’indagine sopra citata, il 54% dei trentenni italiani guadagna meno di 7 euro netti l’ora.

Una paga davvero bassa, soprattutto se parametrata all’attuale elevato costo della vita in Italia, e che produce come conseguenza dei risultati che non possono che danneggiare il Paese.

In tempi in cui si discute spesso del salario minimo, questo dato è utile a capire lo stato di profondo disagio e sconforto con il quale oltre la metà di questa fascia di italiani deve convivere ogni giorno.

Secondo Federcontribuenti, infatti, il 48% dei trentenni presi in analisi si considera sfruttato, visto che spesso è chiamato dai propri datori di lavoro a svolgere le proprie mansioni anche in orari fuori busta paga.

Ore di lavoro che spesso non vengono neppure pagate come straordinario e che concorrono a creare una situazione in cui la maggior parte dei giovani italiani è costretta a programmare la propria vita senza poter contare su uno stipendio adeguato e tantomeno continuo.

Ragazza pensierosa mentre lavora al pc in ufficio. Preoccupazione per il salario basso
Foto | Pexels @KarolinaGrabowska

Troppi part-time e apprendistati

Stando all’analisi di Federcontribuenti, i part-time e gli apprendistati sono diventati ormai numerosissimi tra i trentenni. Davvero troppi.

Ciò concorre ad alimentare una condizione di instabilità lavorativa.

Moltissimi trentenni non possono contare, infatti, su un salario fisso. Spesso sono chiamati a lavorare per sei mesi e a rimanere fermi per un lasso di tempo altrettanto lungo, guadagnando in media tra i 100 e i 120 euro netti a settimana.

Il risultato? Un grandissimo pugno nello stomaco all’economia dell’Italia.

Secondo Federcontribuenti, l’11% della popolazione italiana nella fascia d’età tra i 28 e i 35 anni è tagliato fuori di netto dalla vita del Paese.

Un problema enorme, visto che proprio i trentenni dovrebbero essere il traino per lo sviluppo economico e le pensioni future.

“Inutile parlare di decrescita demografica. Per mettere su famiglia occorre un lavoro stabile e uno stipendio adeguato; i voucher sono uno strumento meschino che piega la dignità del lavoratore stesso”.

Analizza la stessa Federcontribuenti.

Una mano porge delle banconote di euro
Foto | Pexels @Pixabay

Il Paese UE con gli stipendi più bassi

“Laureati o meno, meritocrazia o meno in Italia, che ricordiamo è il Paese dell’area UE con gli stipendi più bassi, il lavoratore dipendente viene sfruttato e maltrattato da quegli stessi contratti nazionali voluti e sostenuti da chi proprio non riesce a fare il proprio dovere di politico e garante”.

Continua così la dura nota di Federcontribuenti, secondo cui in Italia sono oltre 1,3 milioni i trentenni che non hanno alcuna possibilità di affittare una casa e farsi una propria famiglia, la quale non potrebbe essere mantenuta.

Indicato spesso come “il Paese delle partite iva”, l’Italia non riesce più a sostenere neppure i liberi professionisti, per i quali, sempre secondo Federcontribuenti, il futuro è tutt’altro che roseo:

“Una vera e propria strage degli autonomi in fallimento, in particolare nel nord-est, con un +68%. Nemmeno più l’imprenditore riesce a metter via uno stipendio adeguato e questi tagli sul costo del lavoro o sul cuneo fiscale accrescono la rabbia”.

Per provare a tamponare quantomeno questa situazione d’emergenza, Federcontribuenti ha richiesto la creazione e l’attuazione di queste misure:

“Uno stipendio minimo per legge; massimo 3 contratti Nazionali per 3 fasce di età; apprendistato massimo fino a 24 anni; riforma del sistema previdenziale: il costo supera la resa; zero costi fiscali sul dipendente”.

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