Samantha D’Incà: il ‘fine vita’ e le analogie con i casi Welby ed Englaro

Samantha D’Incà, 30enne di Belluno che da 14 mesi si trovava in stato vegetativo irreversibile, è morta. Era entrata in coma il 4 dicembre 2020, per le conseguenze di una grave infezione contratta dopo un’operazione in ospedale per la frattura di un femore. Il padre Giorgio aveva chiesto e ottenuto l’autorizzazione al trattamento di “fine vita”, divenendone l’amministratore di sostegno.

Gli ultimi mesi di vita di Samantha D’Incà

Come si apprende da fonti sanitarie, Samantha D’Incà è deceduta sabato 19 marzo, al termine di un percorso di accompagnamento al decesso. Da qualche settimana la 30enne era ricoverata nella struttura socio assistenziale privata “Gaggia Lante” di Belluno. Di Samantha non esisteva un testamento biologico. Per questo, dopo che i medici avevano stabilito che la paziente non avrebbe più potuto riprendersi e che al tempo stesso continuava a patire con dolori fortissimi, il padre Giorgio ha iniziato una lunga battaglia giuridica che gli ha consentito di ottenere dal Tribunale di Belluno, il 10 novembre 2021, l’incarico di amministratore di sostegno. Nelle ultime settimane le condizioni di Samantha erano ulteriormente peggiorate. Il percorso di accompagnamento al fine vita richiesto dalla famiglia è stato autorizzato dalla magistratura, dopo l’individuazione di un collegio medico dedicato.

Eutanasia e suicidio assistito: come si sta procedendo in Italia

I medici della Rsa hanno prima interrotto l’alimentazione con il sondino e poi sottoposto Samantha a sedazione profonda. Si tratta del procedimento di sospensione delle cure, una sorta di eutanasia passiva che costituisce un diritto sancito dall’art. 1 della legge 219/2017: “Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Si ricordano i casi celebri di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro.

Spesso viene accostata all’eutanasia vera e propria e al suicidio assistito, che però sono “fine vita” diversi. Nel primo caso, è prevista da parte di un medico la somministrazione di un farmaco letale al paziente che ne fa richiesta. Non è legale in Italia. E, proprio recentemente, la Corte Costituzionale ha bocciato una proposta di referendum in merito. Una storica legge ha invece da poco dato il via libera al suicidio assistito (famoso fu il caso di Dj Fabo), che è invece l’atto del porre fine alla propria esistenza in modo consapevole, mediante l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci. Il soggetto viene in questo caso “assistito” da un medico o da un’altra figura.

Del resto prima dell’incidente, seguendo la vicenda proprio di Dj Fabo in televisione, Samantha D’Incà commentava che era giusto porre fine a una vita di sole sofferenze e senza alcuna speranza di miglioramento. Con un lungo percorso legale suo papà è riuscito far rispettare le sue volontà.

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