Covid, la nuova frontiera No vax: autoinfettarsi per il Green Pass

È la nuova frontiera di chi si rifiuta di fare il vaccino: autoinfettarsi di proposito per ammalarsi di Covid, con l’obiettivo di ottenere il Green Pass alla guarigione. Pur senza essersi sottoposti neanche alla prima dose. Diverse testimonianze in merito arrivano dalla Svizzera e sono emerse da un’indagine condotta da RTS, la tv elvetica in lingua francese.

Autoinfettarsi per ottenere il Green Pass: le testimonianze

Qualcosa di molto simile si è visto con i corona-party visti nelle scorse settimane in Austria e Germania. In questo caso, però, il tutto è realizzato con discrezione, sempre nel tentativo di aggirare le regole sul Green Pass. Che in Svizzera, come in Italia, viene assegnato non solo a chi è vaccinato, ma anche a chi è guarito dal Covid.

“Ho chiesto a un amico infettato di sputare in un bicchiere, poi ci ho aggiunto un po’ d’acqua e l’ho bevuto con la speranza di ammalarmi di Covid. Cinque giorni dopo sono risultato positivo”. Le parole sono quelle di un 21enne, studente di Medicina a Ginevra, che ha spiegato di aver preso la decisione perché “spendere 40 franchi a settimana (circa 38 euro, ndr) per farmi testare non era sostenibile”.

L’iniziativa del 21enne fa il paio con uno dei dati che i No vax (o Free vax, come si definiscono alcuni gruppi che contestano l’efficacia dei vaccini anti-Covid) forniscono maggiormente alla loro tesi: quello secondo cui la malattia da Sars-Cov-2 colpisce in maniera più grave i soggetti già fragili e gli anziani.

D’altra parte, anche i dati forniti in Italia dall’Iss (clicca qui per il report ufficiale aggiornato a ottobre 2021) parlano di un’età media, dei decessi per Covid, pari a 80 anni, 35 in più rispetto all’età media di chi contrae l’infezione. Non sorprende, dunque, che un Free vax giovane e senza altre patologie tenti la strada dell’autoinfezione per aggirare le norme sul Green Pass.

Ma la salute è comunque a rischio? La risposta delle autorità sanitarie

Naturalmente le autorità sanitarie ginevrine si schierano contro un comportamento del genere, paragonandolo a una sorta di equivalente della roulette russa. Per i medici svizzeri c’è il rischio, insomma, di farsi molto male. “Anche i guariti, in ogni caso, devono ricevere una dose di vaccino per garantire un’immunità duratura” fanno sapere, specificando che, oltre ad al rischio nei confronti di se stessi, quelli che ricorrono a questa pratica metterebbero a rischio anche tutti quelli che stanno loro attorno.

C’è poi anche il risvolto legale del tema. Il reato di epidemia (disciplinato in Italia dall’articolo 438 del codice penale) è punito nel nostro Paese come in altri Stati d’Europa e del mondo. Nel caso del 21enne si tratterebbe di autoinfezione e sarebbe l’amico a correre maggiori rischi, avendola causata. Benché, in caso di contagio di una sola persona, sarebbe difficile parlare di epidemia (più corretto che rientri nella casistica delle lesioni personali – art. 582 codice penale -, anche se la lesione è auspicata da chi la riceve).

Ma ci sono altri casi in cui c’è chi lucra effettivamente sull’idea dell’infezione volontaria. Come accaduto, ad esempio, nei Paesi Bassi, dove a metà dicembre un uomo è stato arrestato con l’accusa di mettere in vendita online dei veri e propri kit per autocontagiarsi e ricevere, dopo la guarigione, il Green Pass anche senza vaccinarsi.

Un’azione sconsiderata e stigmatizzata da più parti. Che però, allo stesso tempo, se fa riflettere sull’effettiva efficacia delle Certificazioni verdi e del loro impatto sulla curva epidemica.

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