Coronavirus: diario postumo di una anziana morta in una Rsa di Milano

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È stato letto ieri, durante una manifestazione di parenti ed infermieri, il toccante diario postumo di un’anziana deceduta di Coronavirus in una Rsa di Milano. Le memorie, allegate ad un documento politico inviato alle istituzioni, sono state raccolte dalla figlia Silvia e lette da Giovanna Capelli. E sono tanto rabbiose quanto toccanti.

Donne retrocesse con il tempo: “Ho fatto come i gamberi”

Quando sono entrata“, si legge nel diario, “pareva potessi uscire facilmente, magari accompagnata dai parenti. Poi però, risulta tutto così difficile che i parenti stessi rinunciano, perché non trovano il dottore o altro. Chissà da quando sono qua? Ma capisco che ho fatto come i gamberi. Ho visto tante altre, molto più giovani di me, entrare vestite di tutto punto. Camminare con le loro gambe. E in breve tempo le ho viste retrocedere. Sono sicura nel dire che lo stesso è successo a me“, l’amara riflessione della malata di Coronavirus.

Lo strazio del Coronavirus: “Noi come in caserma, sono morta senza rivedere le mie figlie”

Entri che sei una persona anziana, ma ancora vitale. Piena di risorse adeguate alla tua età. E nel giro di poco sei un’altra, una sorta di malata cronica. Da tenere allettata, seduta in carrozzella. Anche se non hai nessuna paralisi. Ma le condizioni sono uguali per tutti. Tutto è organizzato tramite protocolli, come nelle caserme. Via la dignità, sei un numero che per caso ha un nome. Del resto come potrebbero fare diversamente? Siamo circa 400… Quando è arrivato il Coronavirus“, si legge ancora, “hanno impedito le visite e ci hanno ‘spalmato’ tra i reparti per fare spazio ai pazienti Covid“.

Ma il Coronavirus è entrato lo stesso, portato da parenti e operatori lasciati senza dispositivi di sicurezza. Sono morta il 4 maggio 2020, senza poter rivedere le mie figlie, di Covid“, la tristissima conclusione dei suoi scritti.

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