Google avrebbe provato a boicottare il Galaxy Store

Ben 37 Stati americani hanno avviato una procedura giudiziaria nei confronti di Google, che dovrà rispondere in tribunale di alcune accuse molto pesanti. Una di queste riguarda il tentativo di boicottare il Galaxy Store, il negozio virtuale di Samsung. Nel mirino dell’accusa ci sono anche le regole del Play Store. In particolare l’applicazione di commissioni del 30% sulle transazioni in-app e l’utilizzo obbligatorio del sistema di fatturazione di Google Play come metodo di pagamento.

Il boicottaggio del Galaxy Store

Secondo l’accusa, Google avrebbe adottato delle pratiche anticoncorrenziali per impedire al Galaxy Store di intaccare il predominio del Play Store. Il colosso avrebbe pagato gli sviluppi di app per disincentivarli a utilizzare il negozio di Samsung e avrebbe anche preso accordi con i produttori degli smartphone Android per impedire l’installazione degli app store delle terze parti. Inoltre, Big G avrebbe persino pagato Samsung per indurla a rimuovere dal Galaxy Store le app col numero più alto di download.

Google e la ricerca di un monopolio

Nonostante Google, a differenza di Apple, renda possibile scaricare app di terze parti da fonti diverse dal Play Store sui dispositivi Android, per l’accusa si tratta di una “facciata”. Mentre finge di concedere a utenti e competitor la massima libertà, il colosso di Mountain View porterebbe avanti delle operazioni volte a scoraggiare la concorrenza e a creare un vero e proprio monopolio. Dal canto suo, Big G non ha esitato ha definire la battaglia legale “una causa insensata che ignora l’apertura di Android” e ha sottolineato che sul sistema operativo è ancora possibile pre-installare dei negozi virtuali diversi dal Play Store. Inoltre, gli utenti possono anche scaricare le app direttamente dai siti degli sviluppatori.

Il precedente del 2018

Non è la prima volta in cui Google viene accusata di abuso di posizione dominante. Nel 2018, per esempio, la Commissione europea ha comminato all’azienda il pagamento di una maxi multa da 4,24 miliardi di euro. Per correre ai ripari, a giugno di quest’anno il colosso ha introdotto un box che permette agli utenti che effettuano il primo accesso di scegliere il browser predefinito (che dunque non sarà più necessariamente Google Chrome).

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