Simone Biles si ritira: quando la (de)pressione condiziona gli atleti

“Devo fare ciò che è meglio per me e pensare alla mia salute mentale, perché voglio stare bene e perché c’è una vita oltre la ginnastica”. Poi il crollo: “Ho i demoni nella testa”. Le parole con cui la pluricampionessa olimpionica statunitense Simone Biles ha motivato la sua sostituzione nella finale All Around di ginnastica artistica femminile alle Olimpiadi di Tokyo 2020 sono uno spaccato di fragilità umana.

La 24enne Biles – vincitrice di oltre 60 medaglie d’oro fra Olimpiadi, Mondiali e campionati internazionali di ginnastica – ha scelto di togliere la maschera davanti al mondo. Lo stesso mondo che finora le aveva fatto sentire tutto il suo peso addosso, quasi schiacciandola. Più che il fisico, durante la prova del volteggio, a tradirla è stata dunque la testa.

Non solo Biles, alcuni precedenti

Simone Biles ha dimostrato che nervosismo, ansia, paura e problemi psicologici sono comuni. Anche per chi è abituato a stare sotto ai riflettori e a competere nell’Olimpo sportivo. Ma quello della giovane ginnasta statunitense non è che l’ultimo caso di blackout mentale per un atleta. Che, in molti casi, si traduce nella più tragica delle condizioni: la depressione.

Ne ha sofferto ad esempio il mezzofondista britannico Andy Baddeley, che in un’intervista ha raccontato quanto fosse più semplice per lui fare le ripetute sui 3mila metri piuttosto che alzarsi dal letto alla mattina. “Nonostante avessi una moglie stupenda e una figlia meravigliosa. In certi momenti nulla aveva senso. Quei minuti tra la notte e il giorno erano atroci – ha detto –. Poi trovavo la forza, una forza misteriosa. Ma il giorno dopo ero da capo”.

Pellegrini e gli attacchi di panico

La campionessa di nuoto italiana Federica Pellegrini ha invece ammesso di aver sofferto per anni di forti di attacchi di panico dovuti all’ansia da prestazione. Attacchi che l’hanno assalita a intervalli più o meno regolare fra il 2008 e 2014, prima di entrare in vasca o durante delle gare decisive.

“I giorni prima delle gare non sono preoccupata, a ridosso invece divento schizofrenica, non ho controllo: piango e rido per la tensione, anche negli spogliatoi – ha raccontato Pellegrini –. Nel 90% delle finali che ho fatto ho pianto prima della gara, e direi che mi ha portato anche fortuna. La gara perfetta non è un’ossessione, ma è un obiettivo per alzare l’asticella”.

La depressione nel mondo del calcio

Ma casi come quelli di Biles, Baddeley o Pellegrini non mancano nemmeno nello sport più popolare (e dunque sotto i riflettori) al mondo: il cacio. Sebastian Deisler, centrocampista tedesco del Bayern Monaco e della Nazionale, nel 2007 ha annunciato il ritiro dal cacio giocato a soli 27 anni dopo cinque operazioni alle ginocchia e due ricoveri per depressione.

C’è poi chi si è addirittura tolto la vita, come nel caso del portiere tedesco Robert Enke, suicidatosi nel 2009 a soli 32 anni. Dopo la morte, la moglie ha dichiarato che da sei anni soffriva di depressione, aggravata soprattutto dalla morte prematura della figlia di due anni per una malattia rara.

I casi più recenti: da Messi a Ilicic

Tra i più recenti, c’è invece il caso di un fuoriclasse: l’argentino Lionel Messi. La ‘Pulga’ del Barcellona ha infatti dovuto sopportare più di tutti il peso della responsabilità dei fallimenti internazionali della Selección argentina, parzialmente riscattati con la vittoria della Copa America di quest’anno. Ma anche la rovente estate del 2020, che lo ha visto a un passo dall’addio dalla maglia blaugrana.

Motivo per cui la moglie, Antonella Roccuzzo, gli ha consigliato di rivolgersi a una psicologa. La stessa, hanno rivelato in seguito i media spagnoli, che ha seguito un suo ex compagno di squadra al Barcellona, Andrés Iniesta, quando quest’ultimo ha sofferto di gravi disturbi depressivi.

L’anno scorso il centrocampista spagnolo si è infatti aperto in un documentario trasmesso da Rakuten Tv, nel quale ha rivelato di aver sofferto di depressione quando aveva 25 anni, nel pieno della sua carriera. Il periodo più nero della sua vita è arrivato nel 2009 subito dopo la vittoria della sua seconda Champions con il Barça e l’improvvisa morte di uno dei suoi più cari amici: il difensore dell’Espanyol Dani Jarque.

In mezzo a turbolenze simili sono passati anche la mezzala portoghese André Gomes, il difensore tedesco Per Mertesacker e una leggenda italiana come Gianluigi Buffon. Più di recente anche il fantasista dell’Atalanta Josip Ilicic, che ha saltato tutta l’ultima parte della stagione 2019/2020. Ilicic si è infatti ritirato per tre mesi in Slovenia insieme alla moglie dopo essere caduto in depressione per aver contratto il Covid-19.

Prima di Biles, il caso di Kelly Holmes

E ancora Kevin Love, pilastro dei Cleveland Cavaliers in Nba, e DeMar Darnell DeRozan, ex cestista dei Toronto Raptors ora ai San Antonio Spurs. Una difficile condizione psicologica che, dunque, riguarda soprattutto gli atleti ai più alti livelli, come quello olimpico, nel caso di Simone Biles.

Oppure quello dell’ex mezzofondista britannica Kelly Holmes, oro ad Atene 2004 negli 800 e nei 1500 metri. Un caso descritto dal professor Kerry Mummery in suo saggio del 2005 pubblicato sulla rivista Lancet. “Gli atleti sono più predisposti delle persone non sportive alla depressione perché le loro richieste funzionali, fisiche e psicologiche, sono un macigno appesantito dall’ambiente in cui essi si esibiscono e dal quale in un certo senso dipendono – scrive Mummery –. Lo stress e la depressione sono connaturati con l’attività sportiva professionale”.

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