Italia-Spagna, non solo la finale in palio: perché è una sfida epocale

Mancano poche ore a Italia-Spagna, la tanto attesa semifinale di Euro 2020, il ritorno a Wembley tanto auspicato dalla nostra Nazionale. E la sfida tra Azzurri e iberici porta con sé tanti significati, in un cerchio che in un certo senso si chiude. Ma in un altro si riapre.

Italia-Spagna, dal ventennio al nuovo secolo

Una rivalità antica (già nel 1934, ai Mondiali disputati in Italia, il confine tra partita e autentica rissa fu labile), rinnovata però solo negli ultimi anni. E proprio agli Europei le strade degli Azzurri e quelle della Spagna si sono incrociate più volte nel nuovo millennio. Quasi in concomitanza con il cambio di filosofia che stava caratterizzando tanto il nostro calcio quanto quello iberico.

Nel 2008 l’Italia si presentò in Austria e Svizzera come campione del mondo in carica, la Spagna stava iniziando a costruire quello che nei successivi quattro anni sarebbe stato un dominio non solo continentale ma planetario. I Rossi di Aragonés vivevano i primi vagiti di ‘Tiqui Taca’, gli Azzurri del fin troppo bistrattato Donadoni gli ultimi aneliti di gloria di una generazione all’imbrunire. Cosa già intuita da qualcuno, ma sottovalutata da molti. Eppure il risultato del campo fu un eloquente 0-0, si andò ai rigori e decisivo fu l’errore di Antonio Di Natale. Lo scontro tra presente e futuro, di fatto, generò comunque un pareggio nei 120 minuti.

Vecchio contro nuovo: l’anno del sorpasso

Tutt’altro discorso nel 2012, quando pure la promettente Italia di Prandelli costrinse la lanciatissima Spagna campione d’Europa (2008) e del mondo (2010) a un nuovo pareggio ai gironi. Quell’1-1 fu però una mera illusione. Gli Azzurri, trascinati dal miglior Balotelli della carriera ma troppo legati a un sistema di gioco ormai superato, arrivarono con grande grinta fino alla finale. Qui furono però demoliti da un mortificante 4-0 dalla nazionale più guardiolista di sempre, nonostante ad allenarla fosse Vicente del Bosque. Centravanti, sulla carta, era addirittura Fabregas. In realtà il gioco tambureggiante delle Furie Rosse (mai così fedeli al proprio soprannome) fu talmente fuori portata per gli avversari, lenti di testa e di gamba, che Prandelli perse un uomo per tempo causa infortunio. Prima Chiellini e poi Thiago Motta furono il simbolo di una squadra come spazzata via da un uragano.

Se però quella Spagna invecchiò abbastanza precocemente, l’Italia non rinacque. Tutt’altro. Il 2-0 di Euro 2016 figlio della cieca determinazione di Antonio Conte riempì di fumo gli occhi di chi sperava che il movimento nostrano avesse ripreso ossigeno. Il bagno di realtà arrivò nel giro di un anno. Qualificazioni ai Mondiali 2018: fortunoso 1-1 a Torino, devastante 3-0 a Madrid. Era la Nazionale di Ventura, poi eliminata dalla Svezia agli spareggi e mai volata in Russia. Ultimo castello di carte crollato al suolo con un soffio di vento, di quello che qualche anno prima era stato un impero.

Italia-Spagna: con Mancini un nuovo equilibrio

Da quelle macerie nasce la Nazionale di Mancini, che oggi affronta la Spagna sapendo di potersela giocare alla pari. Non solo per qualità dei propri giocatori, ma soprattutto perché mossa da un’idea di calcio. Fondata, funzionale e funzionante. Quella che negli scontri precedenti era spesso mancata, o era drammaticamente superata. Una posizione inedita, forse dal 1994: ultimo Italia-Spagna in cui gli addetti ai lavori non vedevano gli iberici strafavoriti sulla carta. All’epoca si giocava a Boston, per i Mondiali di Usa ’94. In campo c’era Luis Enrique, attuale ct della ‘Roja’: lo lasciò con la bocca insanguinata dopo un durissimo scontro con Tassotti. E chissà che anche per lui non ci sia un cerchio da chiudere, o magari riaprire, contro un’avversaria con cui in palio c’è ben più di una semplice finale europea.

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