Diffusione Coronavirus, gli esperti puntano il dito contro la Champions

Non ci sono prove ufficiali del danno procurato, ma le partite di Champions League giocate all’inizio della crisi sanitaria (o appena qualche giorno prima) potrebbero aver contribuito alla diffusione del Coronavirus. A sostenerlo è una consulente scientifica del governo britannico, Angela McLean, come riportato dalla Bbc. Nello specifico, McLean parla del match fra Liverpool e Atletico Madrid giocato lo scorso 11 marzo ad Anfield Road. La sua opinione è simile a quella espressa da alcuni esperti italiani, nonché sal sindaco di Bergamo Giorgio Gori, nelle scorse settimane, riguardanti l’incontro fra Atalanta e Valencia disputatosi lo scorso 19 febbraio a Milano, quando però l’emergenza non era ancora ufficialmente in atto.

Il caso Liverpool-Atletico

“Sarebbe molto interessante, in futuro, capire quale relazione scientifica ci possa essere stata tra la diffusione del virus a Liverpool e quella in Spagna” ha detto McNeal nell’incontro quotidiano sul tema Coronavirus con il governo britannico. La partita si era giocata davanti a 52mila spettatori, 3mila dei quali volati da Madrid nonostante le titubanze all’interno della stessa Spagna. La presenza dei tifosi aveva già allora provocato delle polemiche: Matthew Ashton, assessore alla salute pubblica della città di Liverpool (che conta al 21 aprile 246 decessi), aveva detto al ‘Guardian’ che il match avrebbe dovuto essere rinviato, mentre il sindaco di Madrid, Josè Luis Martinez-Almeida, aveva dichiarato che permettere a migliaia di persone di lasciare il Paese fosse stato un errore. “Non aveva senso che, in quel momento, 3mila persone potessero lasciare Madrid per andare a Liverpool”. Queste le parole di Martinez-Almeida alla radio spagnola ‘Onda Cero’.

Il precedente di Atalanta-Valencia

Le polemiche relative a Liverpool-Atletico sono molto simili a quelle relative a un altro ottavo di finale di Champions League, quello fra Atalanta e Valencia. Alcuni esperti definiscono il match giocato a San Siro il 19 febbraio la ‘partita zero’, determinante per l’alto numero di contagi a Bergamo e provincia. Lo stesso sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, aveva dichiarato a tal proposito in un’intervista al quotidiano spagnolo ‘Marca’: “La partita era una bomba biologica. A quel tempo non sapevamo cosa stesse succedendo. Il primo paziente in Italia era il 23 febbraio. Se il virus era già in circolazione, i 40mila fan che andarono allo stadio di San Siro potevano essere infetti”. Lo stesso Gori aveva poi specificato, però, come la partita non potesse considerarsi l’unica causa della diffusione del virus: “La scintilla vera e propria c’è stata nell’ospedale di Alzano Lombardo, con un paziente con polmonite non riconosciuta e che ha infettato pazienti, medici e infermieri. Questo è stato il fulcro dell’epidemia”.

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