Da Pasteur al Covid: il 6 luglio è una data simbolo contro i virus

Il 6 luglio del 1885 il chimico francese e padre della moderna microbiologia Louis Pasteur utilizzò su un ragazzino di nove anni, Joseph Meister, morso da un cane infetto, il primo vaccino antirabbico della storia.

Fu una tappa fondamentale nello sviluppo dei vaccini. La ricorrenza non passa inosservata in questo 2021 dove la campagna di vaccinazione di massa in corso fa rivivere, a chi vi ha assistito, le grandi vaccinazioni del secolo scorso.

Se adesso è possibile sperare di lasciarsi alle spalle la pandemia di Covid-19 è proprio grazie al lavoro di scienziati come Pasteur. Basti pensare che quando il chimico francese scoprì il vaccino contro la rabbia, non esistevano neppure microscopi così potenti da individuare i virus.

I virus “attenuati”

Dopo due settimane a letto e dodici iniezioni, Joseph si alzò guarito. La scoperta fondamentale di Pasteur fu l’utilizzo di un virus “attenuato”, cioè indebolito e quindi meno pericoloso per l’essere umano. Un concetto fondamentale in tutti i vaccini che sarebbero seguiti. Fino alla recente rivoluzione della tecnica a mRna come Pfizer e Moderna in cui non si utilizzano i virus ma informazioni contenute nell’Rna.

La scoperta fu dovuta a una di quelle fortunate casualità che si incontrano nella storia della scienza. Pasteur scoprì che certe colture che aveva dimenticato in laboratorio fornivano un virus fortemente attenuato ed efficace, quindi, nell’indurre l’immunità nei polli contro il colera. Come spiegò Pasteur stesso era stata la prolungata esposizione all’ossigeno ad attenuare i germi.

La scoperta di Pasteur e i vaccini anti-Covid

Naturalmente i vaccini di oggi non hanno molto a che vedere con il rudimentale preparato di Pasteur. L’idea di un virus “indebolito”, però, è quella che c’è dietro anche ai vaccini anti-Covid AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sputnik. 

Sono tutti vaccini che si basano sulla tecnica del “vettore virale“, ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo. Nel caso di AstraZeneca è una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus), che causa infezioni negli scimpanzé. La differenza rispetto all’antenato di Pasteur è che nel caso dei vaccini anti-Covid vi sono state “incollate” le informazioni genetiche che faranno scattare la risposta immunitaria dell’organismo. 

Il vaccino di Jenner e le “cavie umane”

Chi sostiene, a torto, che siamo utilizzati come “cavie umane” nella campagna di vaccinazione, sicuramente inorridirebbe per la brutalità con cui, quasi cento anni prima di Pasteur, fu scoperto il primo vaccino.

Nel 1796 il medico inglese Edward Jenner notò che i mungitori erano immuni al vaiolo e sulle mani avevano piaghe simili a quelle vaiolose nelle mammelle delle mucche infette. Ipotizzò, allora, che il vaiolo bovino, meno aggressivo, potesse rappresentare la soluzione.

L’unico modo, a fine Settecento, era provare empiricamente. Prese il figlio del suo giardiniere, di otto anni, e gli innestò il pus estratto dalle pustole di una mungitrice infetta di vaiolo bovino. Il bambino ebbe un po’ di febbre, ma dopo due giorni guarì.

Due mesi dopo, senza alcuno scrupolo etico lo mise in contatto con il vaiolo e non sviluppò alcun sintomo. Un esperimento a rischio della vita che tuttavia aiutò a combattere una malattia che mieteva decine di migliaia di vite ogni anno solo in Inghilterra.

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