Ma la Terza Repubblica è mai iniziata per davvero?

L’indomani delle elezioni politiche del 2018 in molti salutavano l’inizio della cosiddetta Terza Repubblica. Se a un primo impatto la nascita del sedicente “Governo del cambiamento” Lega-Movimento 5 Stelle poteva sembrare una rivoluzione per il nostro Paese, i fatti si sono incaricati di dichiararlo spergiuro, per citare l’ex leader socialista Bettino Craxi.

E da chi, se non da un “simbolo” come Craxi, bisogna partire per analizzare ciò che per alcuni osservatori rappresenta l’ennesimo fallimento della classe politica italiana? Nel 1992 il clima era diverso. Lo spartiacque fra Prima e Seconda Repubblica passò attraverso diversi fattori.

Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica nel ’92

In primis gli scandali. Un sistema incancrenito aveva portato lo Stato da un lato a piegarsi sotto le bombe della mafia sacrificando i suoi eroi; dall’altro a fare i conti con un malaffare endemico, scoperchiato con Tangentopoli. Allora il popolo scese in piazza e iniziò a picconare lo status quo.

E il culmine arrivò con il fallimento elettorale del vecchio sistema partitico. Tanto che perfino l’allora Capo dello Stato, Francesco Cossiga, si dimise dalla carica più alta e assestò la picconata definitiva costringendo il Parlamento all’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica.

La spuntò Oscar Luigi Scalfaro, che durante il suo settennato traghettò il Paese verso un nuovo sistema. Sparirono i vecchi partiti e ne spuntarono di nuovi che seppero subito attingere sia dal malcontento popolare sia da quei bacini elettorali rimasti orfani di gruppi come la Dc, il Pci o il Psi.

Ogni grande novità porta con sé un grande cambiamento. In quel caso fu l’inizio di ciò che la stampa definì la Seconda Repubblica, che rispetto alla prima mostrava al popolo nuovi leader ma vecchi problemi. A partire dall’instabilità governativa, che ha sempre caratterizzato l’Italia repubblicana.

La genesi del Governo gialloverde nel 2018

La Terza sarebbe dovuta iniziare nel 2018, dopo le elezioni che portarono il Movimento 5 Stelle – che “partito” non si definiva – alla guida del Paese insieme alla Lega, il più vecchio schieramento (seppur diverso nel nome e nei toni) dell’arco parlamentare, nato quando ancora esisteva la Prima Repubblica.

Da un lato c’era chi – i 5 Stelle – godeva del consenso popolare e si presentava come un uragano riformatore; dall’altro chi – il Carroccio – ancora tramandava l’usanza delle scuole di formazione politica tipiche dei “vecchi” partiti ed efficaci soprattutto a livello locale. Il giusto equilibrio fra novità ed esperienza, spesso sinonimo di garanzia.

Non in quel caso, come dimostra la fine del Governo Conte I appena un anno dopo. Oggi M5S e Lega sono di nuovo insieme ad appoggiare una maggioranza di ampissimo respiro e a sostenere il Governo Draghi in un momento di difficoltà del Paese.

Ma i partiti, oggi, sono in salute? Senza girarci troppo intorno, la risposta è no. Le recenti elezioni per il Quirinale che hanno portato alla riconferma di Sergio Mattarella al Colle ne sono la dimostrazione plastica. Nel ’92 Cossiga, dimettendosi, non mancò di criticare (anzi, sparare a zero) i suoi colleghi di partito.

Mattarella: niente reprimenda, ma applausi che stonano

Trent’anni più tardi Mattarella, nel suo discorso d’insediamento alle Camere, ha scelto di non seguire le orme del ‘Picconatore’ preferendo toni più concilianti e unitari rispetto a una dura reprimenda. Il Capo dello Stato si è infatti limitato ad elencare le priorità, a dettare l’agenda politica e a rimettere al centro l’importanza del Parlamento.

Quello stesso Parlamento che lo ha ringraziato e applaudito a lungo, dopo che per giorni si era bloccato nel pantano non riuscendo a trovare un nome per il Quirinale e, anzi, “scherzandoci” su con qualche voto-burla. Un’immagine che ad ampie fasce del Paese non è piaciuta affatto.

Perché come hanno fatto notare in molti, deputati e senatori stavano in realtà applaudendo a ciò che avrebbero dovuto portare a termine in questa legislatura ma che non hanno fatto. Un plauso alla loro stessa débâcle, in poche parole.

Centrodestra, leader litigiosi e coalizione da rifondare

Un sintomo del fatto che i partiti non siano in salute sono le conseguenze delle laceranti elezioni per il Presidente della Repubblica. Il centrodestra, ad esempio, ne è uscito con un forte danno d’immagine. Soprattutto la Lega, che con il segretario Matteo Salvini punta ora a ricostruire una coalizione con gli alleati.

Coalizione che, per stessa ammissione di Salvini, “si è sciolta come neve al sole”. Nel voto per il Colle, il leader leghista afferma che “qualcuno nel centrodestra è sparito e ha tradito”. Il riferimento è ai voti mancanti di Forza Italia e Coraggio Italia nel tentativo di eleggere una donna al Colle. Ma i problemi veri sono con Fratelli d’Italia.

Tanto che la proposta di un partito repubblicano in salsa Usa non piace a Fdi, che di contro ha superato il Carroccio nei sondaggi. La leader della destra, Giorgia Meloni, a sua volta si è sentita tradita dagli alleati e punta a rifondare la coalizione.

E i moderati? Mentre Fi sembra non aver accusato particolarmente il colpo, Coraggio Italia strizza l’occhio a Italia Viva (costola del centrosinistra) per lavorare a un nuovo progetto centrista. Ma non va meglio nemmeno in casa 5 Stelle.

Spaccatura interna e veleni incrociati nei 5 Stelle

Non a caso, stando ai sondaggi, Salvini e il capo politico dei “grillini”, Giuseppe Conte, sono i due leader maggiormente danneggiati dalla partita per il Quirinale, rispettivamente per il 39% e il 19% degli italiani. I pentastellati continuano a calare nelle intenzioni di voto, lacerati anche da un dibattito interno infuocato.

A minare la stabilità della leadership di Conte è stato in primis il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che si è dimesso dal Comitato di garanzia del M5S. Ora è il tempo dei botta e risposta fra le parti, dei veleni incrociati e delle spaccature in attesa di un chiarimento che non si sa se arriverà mai.

Di correnti interne ne aveva tante anche la Dc, ma in quasi 50 anni al Governo del Paese è sempre riuscita a mantenere l’unità senza rinunciare alla pluralità. Poi è implosa, come gli altri partiti. Ci ha messo decenni, però, non pochi anni. E a questo punto viene da chiedersi: siamo già al tramonto della Terza Repubblica? O meglio: ma la Terza Repubblica è mai esistita per davvero?

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