L’infinita rivalità tra Renzi e D’Alema. Oltre 10 anni di frecciatine

All’interno del mondo della politica, le rivalità sono tutt’altro che rare. Spesso coinvolgono politici appartenenti a partiti diversi, che portano avanti ideali inconciliabili e posizioni agli antipodi. Tuttavia può anche capitare di assistere a lunghe faide tra persone che, sulla carta, dovrebbero avere una visione del mondo simile. Un ottimo esempio è l’eterna rivalità tra Matteo Renzi e Massimo D’Alema, due politici simili tra loro sotto vari aspetti, che hanno plasmato l’identità del Pd in modi profondamente diversi. Da un lato troviamo un “rottamatore” smanioso di cambiare le carte in tavola e dall’altro un volto storico della sinistra italiana, per nulla intenzionato a essere rottamato.

Uno scontro generazionale

I rapporti tra i due iniziarono a deteriorarsi nel 2010, quando Renzi iniziò a premere sempre di più l’acceleratore sulla rottamazione. Questo atteggiamento gli permise di guadagnare molto spazio sui giornali, come non mancò di notare D’Alema. “Basta che un giovanotto dica che vuole cacciarmi a calci in c*lo, e subito gli vengono date le paginate”, osservò l’ex presidente del Consiglio. Due anni dopo, Renzi tornò a ribadire la propria posizione nel corso della convention “Big Bang di Firenze”. In quell’occasione dichiarò che l’Italia poteva fare a meno di politici attaccati alla poltrona come D’Alema e Veltroni. A distanza di poche settimane, Renzi dichiarò di avere grande rispetto per i leader storici del Pd, ma di ritenere auspicabile un ricambio generazionale. “Sono riusciti a rottamare persino Ridge, il mascellone, da Beautiful, noi proveremo a rottamare Baffino”, dichiarò con la sua consueta ironia.

Le primarie del 2013

Tra commenti pungenti e battutine, nel 2012 la campagna per le primarie del Pd entrò nel vivo, dando a D’Alema la possibilità di inasprire la rivalità con Renzi. L’ex premier decise di appoggiare apertamente la candidatura di Pier Luigi Bersani e di portare la sua personale guerra al rottamatore nei salotti televisivi. “Renzi appartiene alla nomenclatura fin da piccolo. Se vince lui non c’è più il centrosinistra”, dichiarò D’Alema nel corso di un’intervista a Otto e mezzo. “Con Bersani candidato, il rinnovamento lo agevolerò e il segretario avrà il mio posto in lista a disposizione. Ma se vince Renzi sarà scontro politico”. Nell’ottobre del 2013, pochi giorni prima della Leopolda, D’Alema tornò a sminuire Renzi, parlando di un successo solamente mediatico. In quell’occasione citò anche un vecchio spot con protagonista Virna Lisi: “Con quella bocca può dire ciò che vuole”.

Di fronte alle provocazioni di D’Alema, Renzi non rimase zitto e accusò il rivale di aver distrutto la sinistra. Una dichiarazione che non restò ignorata a lungo. “Noi abbiamo vinto due volte le elezioni e abbiamo portato per la prima volta la sinistra al governo del Paese”, non mancò di osservare D’Alema. Nonostante la dura opposizione dell’ex presidente del Consiglio e di altri esponenti del Pd, Renzi ottenne un successo clamoroso alle primarie, arrivando quasi al 70% dei voti. Di fronte a quell’inequivocabile attestato di fiducia e stima, le parole di D’Alema persero un po’ della loro potenza.

D’Alema alla guida del “comitato del no”

Servirono tre anni per dare a D’Alema l’opportunità di prendersi una “rivincita”. Renzi, nel frattempo diventato presidente del Consiglio, aveva iniziato a perdere consensi e stava puntando tutto su un referendum costituzionale che molti italiani interpretarono come un’opportunità per “mandare a casa il premier”. D’Alema s’inserì in questo clima teso senza pensarci due volte, diventando uno dei principali promotori del “comitato del no”.

In quel periodo i due rivali si attaccarono reciprocamente senza filtri, andando a spargere il sale su ferite ancora aperte. Renzi accusò il governo D’Alema di aver privatizzato la Telecom, facendo un regalo ai “capitani coraggiosi” e conducendo delle operazioni discutibili. L’ex premier evitò questo affondo con maestria, ricordando che Telecom, in quanto società privata, non aveva nulla a che fare con Palazzo Chigi e che comunque la privatizzazione si verificò durante il governo Prodi. E dopo la schivata arrivò la stoccata: “Renzi potrebbe parlarci delle fughe di notizie su Banca Etruria e dell’insider trading. Questo è un argomento che forse lui conosce meglio”.

D’Alema rincarò la dose dopo le elezioni amministrative del 2016, al termine delle quali il Pd perse due grandi città: Roma e Torino. “Renzi sta rottamando alcuni milioni di elettori”, osservò durante un’intervista al Corriere della Sera. Renzi rispose alla provocazione paragonando D’Alema a Berlusconi e sottolineando come entrambi parlassero di riforme senza volerle mettere davvero in atto.

Renzi: “Un abbraccio a chi si è ritrovato nel partito dei dalemiani”

Sotto vari punti di vista, la bocciatura del referendum costituzionale e le successive dimissioni di Renzi rappresentarono una vittoria importante per D’Alema. Negli anni successivi i rapporti tra i due sono sempre rimasti tesi e ogni occasione è stata buona per frecciatine al rivale e battute al vetriolo. Tuttavia solo di recente lo scontro tra i due è tornato ai livelli di qualche anno fa. Pochi giorni fa, D’Alema ha aperto a un possibile ritorno nel Pd dei politici di Articolo Uno, partito nato dopo la scissione del 2017. L’ex premier ha motivato questa scelta dichiarando che ora il Partito democratico è “guarito dal renzismo, una deriva devastante, una malattia”.

Parole che non sono state ben accolte da Enrico Letta, l’attuale segretario del Pd. “Il Pd da quando è nato, 14 anni fa, è l’unica grande casa dei democratici e progressisti italiani. Sono orgoglioso di esserne il segretario pro tempore e di portare avanti questa storia nell’interesse dell’Italia. Nessuna malattia e quindi nessuna guarigione. Solo passione e impegno”. Renzi ha approfittato di questo passo falso del rivale per tornare ad affondare la lama. “D’Alema rientra nel Pd dicendo che chi lo ha portato al 40%, a fare le unioni civili, ad avere l’unico governo con la parità di genere, a creare un milione di posti di lavoro è un malato. Sono parole che si commentano da sole. Un pensiero a chi è malato davvero, magari nel letto di un ospedale. E un abbraccio a chi sognava il partito dei riformisti e si ritrova nel partito dei dalemiani”.

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