Di Maio: i retroscena più gustosi pubblicati nel suo nuovo libro

È uscito ufficialmente oggi, martedì 26 ottobre, il primo libro di Luigi Di Maio. S’intitola ‘Un amore chiamato politica. La mia storia e tutto quello che ancora non sapete’, edito da Piemme. Una biografia scritta dove il ministro degli Esteri si racconta, tra aneddoti sulla sua vita privata e i successi (ma anche le cadute) nella carriera politica. Tra i tanti temi che di Maio affronta nel suo libro, ci sono due retroscena particolari che l’ex capo politico del Movimento 5 Stelle tende a mettere in evidenza: la nascita del governo Lega-M5s e il cosiddetto “marchio del bibitaro”.

La nascita del governo Conte 1

Ci sono almeno due autocritiche che Di Maio esterna. La prima è l’ammissione dell’errore nel chiedere l’impeachment per Sergio Mattarella, quando il Presidente della Repubblica mise il veto a Paolo Savona a Palazzo Chigi. La seconda riguarda il pentimento per l’“abolizione della povertà” e la foto sul balcone di Palazzo Chigi (“sbagliai a salire su quel balcone. E sbagliai a pronunciare quelle parole”). In compenso nel libro c’è il racconto della nascita della premiership di Giuseppe Conte. Che parte dalla bocciatura di Giulio Sapelli, “reo” di aver detto in giro che lui e Salvini lo volevano presidente del Consiglio. E approda all’incoronazione dell’Avvocato del Popolo con tanto di timori di Salvini.

“Impeccabile nei modi, si pose nei confronti di ciascuno di noi con umiltà, mostrando un grande spirito collaborativo. Fece breccia anche in Salvini che, al termine del colloquio, si disse convinto. Un suo strettissimo collaboratore, anche lui presente, si intromise e avanzò un timore, che poi si sarebbe rivelato profetico: ‘Matteo, sei sicuro? Non è che poi questo ci diventa il Macron italiano?’. “Ma figurati!”, ribatté Salvini. In effetti di tutto avremmo potuto immaginare in quel frangente, fuorché l’ascesa che avrebbe poi compiuto Conte”.

Il fastidio per quel “Giggino il Bibitaro”

E nel libro c’è anche spazio per il risentimento. È quello che Di Maio prova nei confronti di chi lo chiamava “bibitaro”, facendo riferimento al suo precedente impiego di steward allo stadio San Paolo di Napoli.

“Sono figlio di un geometra che per tre volte si è candidato alle comunali senza essere eletto. Che raccomandazioni avrei mai potuto avere? Altrettanto deprecabili sono coloro che hanno gioito, riso ed esultato strumentalizzando la vicenda. Anche a sinistra, anche in quella che sarebbe, o dovrebbe essere, la casa, il rifugio degli ultimi e degli umili, hanno sfruttato e usato la ‘cultura del bibitaro’.

L’incontro (a sorpresa) con Berlusconi

D’altro canto, spiega Di Maio nel suo libro, anche Berlusconi per una vita ha detto di essere uno che si è fatto da solo. Ma a lui nessuno ha fatto pesare i lavori umili svolti in gioventù. E a proposito dell’ex cavaliere, il ministro degli Esteri svela l’incontro, a tu per tu, proprio con Berlusconi.  Due mondi in apparenza opposti che si toccarono, ormai più di due anni fa.

Siamo a Milano, negli studi Mediaset di Cologno Monzese, in piena campagna elettorale per le elezioni Europee del 2019. Di Maio, all’epoca era vicepremier del governo gialloverde, è appena uscito dalla registrazione di un programma tv quando, a sorpresa, incontra in un corridoio il Cav. Un faccia a faccia non programmato dal grillino. L’inizio di un percorso personale e politico all’insegna della realpolitik. Dal giorno di quel fatale faccia a faccia ne sono passati di tempi. E di governi. Visto che ora proprio Di Maio siede in Consiglio dei ministri con gli esponenti di Forza Italia.

Quello che manca nel libro di Di Maio

Le 185 pagine si concludono con i ringraziamenti all’ex portavoce Augusto Rubei. Ma, in tutto questo, spicca soprattutto quello che manca. Ovvero, il Di Maio sovranista. Perché nel libro non c’è nemmeno un accenno alle tante uscite dell’attuale ministro che sembrano ormai appartenere a un’altra epoca.

Come la polemica sui “taxi del mare”, ovvero le Organizzazioni Non Governative, definite così da Di Maio quando al ministero dell’Interno c’era Matteo Salvini e bisognava contendere al Capitano la palma di più duro contro “l’immigrazione clandestina”. Non c’è nemmeno il viaggio a Parigi con Alessandro Di Battista per incontrare i gilet gialli. Non c’è la definizione di “partito di Bibbiano” nei confronti del Pd. Il responsabile della Farnesina cerca così di far dimenticare il suo passato sovranista e populista. Nell’ottica della costruzione di una nuova leadership per i grillini. Più europea e responsabile.

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