Greta Thunberg, un attacco dall’interno al mondo della moda

Per il lancio dell’edizione scandinava di Vogue è stata scelta una delle giovani donne simbolo della lotta al cambiamento climatico: Greta Thunberg. L’annuncio è arrivato attraverso il profilo Instagram del magazine: “È arrivato Vogue Scandinavia e Greta Thunberg è la prima star in copertina“.

Negli corso degli ultimi anni la teenager svedese è diventata l’attivista più nota al mondo, richiamando l’attenzione dei leader di tutto il mondo sulla crisi climatica in atto” si legge nella didascalia pubblicata da Vogue su Instagram.

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La scelta, quella di mettere in copertina per il primo numero del magazine Greta Thunberg, piuttosto naturale. La giovane, nata nel 2003, è appunto la più nota attivista svedese per lo sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico. Nota per le manifestazioni tenute davanti al Riksdag, a Stoccolma, con lo slogan “Sciopero scolastico per il clima“, Thunberg è sicuramente un volto importante, soprattutto per le nuove generazioni, sempre più in prima linea per l’impegno per un futuro migliore.

Oltre all’intervista, realizzata dall’editorialista Tom Pattinson, Greta Thunberg è protagonista di uno shooting, realizzato da Iris e Mattias Alexandrov Klum, duo di artisti e ambientalisti svedesi. Qui, forse per la prima volta, vediamo la giovane attivista in una veste inedita, sempre caratterizzata però da un forte contatto con la natura.

L’intervista si è concentrata, in particolare, sul mondo della moda. Greta Thunberg ha racconto di aver comprato “qualcosa di nuovo” per l’ultima volta circa tre anni fa. La scelta, comunque, è ricaduta sull’abbigliamento di seconda mano.

Fast Fashion, la “moda veloce” che fa male all’ambiente

L’industria della moda contribuisce enormemente all’emergenza climatica ed ecologica. Per non parlare del suo impatto sugli innumerevoli lavoratori e comunità che vengono sfruttati in tutto il mondo affinché alcuni possano godere della moda veloce che molti considerano usa e getta” ha detto l’attivista.

Greta Thunberg, quindi, si è focalizzata sulla “moda veloce”, conosciuta anche come fast fashion. Questo termine, utilizzato soprattutto negli ultimi anni, è riferito a tutto ciò che nella moda è “passeggero” e quindi rispecchia le tendenze del momento. Le linee di moda, progettata in modo rapido ed economico, rendono l’acquisto di capi e accessori più facile e accessibili a tutti.

La tendenza di comprare abiti economici e destinati a durare poco ha chiaramente degli impatti sull’ambiente, come spiegato anche da Greta Thunberg nel corso dell’intervista. Il settore fast fashion, infatti, continua ad inquinare, nonostante diverse aziende abbiano adottato delle strategie per ridurre l’impatto ambientale.

Quello del fast fashion è tra i settori responsabili non solo delle emissioni di CO2, ma anche delle sfruttamento delle risorse idriche, che riguardano diversi processi, dal trattamento dei tessuti al lavaggio. Ogni anno, infatti, vengono utilizzati 1500 miliardi di litri di acqua dall’industria della moda veloce.

Greta Thunberg parla di “greenwashing”: ecco cos’è

Greta Thunberg, nel corso dell’intervista per la cover di Vogue Scandinavia, ha parlato del Greenwashing, attaccando le aziende: “Molti stanno facendo sembrare che l’industria della moda stia iniziando ad assumersi le proprie responsabilità, spendendo cifre fantasiose in campagne in cui si dipingono come ‘sostenibili’, ‘etiche’, ‘verdi’. Ma cerchiamo di essere chiari: questo non è quasi mai altro che puro Greenwashing“.

E ha aggiunto: “Non è possibile produrre mode in serie o consumare in modo ‘sostenibiliì come il mondo è modellato oggi. Questo è uno dei tanti motivi per cui avremmo bisogno di un cambiamento di sistema“.

Il termine Greenwashing può essere tradotto come “ecologismo di facciata“. Infatti, sta ad indicare la strategia di comunicazione di alcune aziende che vogliono costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto l’aspetto dell’impatto ambientale. L’obiettivo è quello di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi del loro lavoro sull’ambiente.

Riuscire a riconoscere un’azienda che fa Greenwashing non è semplice e lo si può capire dalle parole di Greta Thunberg. Questo perchè, in diversi casi, le campagne pubblicitarie “sostenibili” delle aziende sono così ben fatte da riuscire perfettamente nell’intento: catturare l’attenzione “insabbiando”la realtà dei fatti.

Per questo motivo, oggi più che mai, anche in relazione all’allarme Onu sull’ambiente, lanciato attraverso l’ultimo report pubblicato in questi giorni, è importante accertarsi della reale sostenibilità delle aziende in tema di sostenibilità ambientale. Per questo, è bene consultare l’elenco delle certificazioni ambientali o il Global Recycleed Standard (GRS) che riguarda chi si occupa soprattutto di materiali riciclati.

Un termine che risale alla fine degli anni ’80

Il termine utilizzato da Greta Thunberg non è assolutamente nuovo. Infatti, il primo ad usarlo, nel 1986, è stato Jay Westerveld. L’ambientalista americano lo ha utilizzato per attaccare le catene albeghiere. Queste, infatti, hanno fatto leva sull’impatto ambientale causato dal lavaggio degli asciugamani per chiedere ai clienti di ridurne il consumo. Una richiesta “a fin di bene” che nasconde però la reale motivazione: il risparmio economico da parte dell’attività.

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