Violenza sulle donne, le sentenze sessiste che colpevolizzano le vittime

Oltre al danno la beffa. Ai casi di violenza di genere e di femminicidio – oltre 70 dall’inizio dell’anno – si sommano le sentenze discutibili sfornate sempre più spesso dai tribunali italiani. Ultima in ordine di tempo, quella del Giudice dell’udienza preliminare di Firenze che giorni fa ha motivato l’assoluzione di due 19enni dall’accusa di stupro su una 18enne adducendo un “errore di percezione del consenso” della vittima.

In sostanza il fatto che la giovane fosse ubriaca e che in passato avesse frequentato uno dei due li avrebbe indotti a fraintendere la volontà della ragazza malgrado la stessa avesse urlato e implorato ripetutamente di “smetterla”.

Come ha spiegato di recente al Manifesto Elena Biaggioni, avvocata penalista e vice presidente della rete dei centri anti violenza Dire, il nostro codice penale non fa riferimento al consenso. “Attualmente il modello normativo italiano non è consensualistico. Nella legge che regola la violenza sessuale, la 609 bis del codice penale, non è mai citato il consenso. La rilevanza del consenso è tuttavia pacificamente riconosciuta dalla Corte di Cassazione da tempo con una giurisprudenza consolidata. Il tema del consenso è entrato nella pratica dei tribunali anche con le convenzioni internazionali. La Convenzione di Istanbul sancisce che la mancanza del consenso è la base giuridica della definizione di violenza sessuale”.

Per questo da tempo Amnesty International ha lanciato una campagna per chiedere la modifica dell’articolo 609 bis.

L’indignazione per quella che molti definiscono l’ennesima sentenza “sessista” è montata anche sui social media. A farsi sentire è stata anche la scrittrice Carlotta Vagnoli, che sul proprio profilo Instagram ha puntato il dito contro la formazione dei giudici.

“Continuare a ignorare che serva una formazione a giudici e magistrati sui reati derivanti dalla cultura dello stupro è da criminali. Tutte queste sentenze fanno emergere una totale, preoccupante ignoranza sul concetto stesso di consensualità”, ha scritto l’autrice di Maledetta sfortuna. “La giurisprudenza viene fatta da persone, cresciute anch’esse in una società patriarcale. Senza scardinare preconcetti universali, non si otterranno mai sentenze scevre da questa visione sessista e colpevolizzante”.

La Cedu contro l’Italia: sentenze sessiste sono una seconda violenza

Del resto la stessa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2021 ha condannato l’Italia a un risarcimento di 12mila euro per danni morali in favore di una giovane donna, in relazione alla sentenza della Corte d’appello di Firenze che nel 2015 ha assolto sette imputati dall’accusa di strupo. Secondo la Cedu alcuni passaggi della motivazione (con riferimenti all’orientamento sessuale e allo stile di vita) costituiscono una “vittimizzazione secondaria” della donna , ovvero rappresentano una seconda violenza per la vittima di stupro. 

Sentenze sessiste – I precedenti

Del resto basta passare in rassegna le sentenze degli ultimi anni per accorgersi dell’esistenza di un problema. Una galleria degli orrori giudiziari che spazia dal palpeggio inferiore ai “10 secondi” alla vittima “disinibita” o “troppo brutta per essere stuprata”.

“10 secondi” non possono bastare

Ha fatto discutere parecchio la sentenza con cui i giudici del tribunale di Roma hanno assolto un bidello accusato di violenza sessuale per aver palpeggiato una studentessa di un istituto scolastico della Capitale nell’aprile del 2022. Considerata la durata – “tra i 5 e i 10 secondi” – i magistrati capitolini hanno derubricato l’accaduto a un “quasi sfioramento” avvenuto senza la volontà di molestare la minorenne.

Violenza sulle donne e sentenze sessite
Foto Pexels / Alexas_Fotos – Newsby.it

Vittima “disinibita”

Dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio il mese scorso sono arrivate le motivazioni della sentenza con cui i giudici hanno concesso uno sconto di pena a Davide Fontana, reo confesso dell’omicidio di Carol Maltesi, il cui corpo è stato smembrato e gettato in un burrone nel bresciano. I magistrati descrivono la 27enne, attrice di film per adulti, come “giovane e disinibita” mentre l’uomo, “innamorato perdutamente“, avrebbe ucciso la giovane donna perché “si stava allontanando da lui, scaricandolo”.

“Un invito a osare”

Lo scorso anno la Corte d’Appello di Torino ha ribaltato la sentenza di primo grado assolvendo un 25enne dall’accusa di violenza sessuale su una ragazza avvenuta all’interno di un locale della città piemontese perché, si legge nella motivazione delle sentenza, “non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa”. Un gesto che, secondo i magistrati, fece “insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire”. Insomma un “invito a osare” che “poi la ragazza non seppe gestire, poiché un po’ sbronza e assalita dal panico”.

Assolto perché la vittima ha attesto “almeno 30 secondi”

A far discutere sono anche le sentenze scritte da donne. È il caso dell’assoluzione, avvenuta nel 2022, di un sindacalista della Fit Cisl, accusato da una hostess dell’aeroporto di Malpensa di molestie sessuale all’interno degli uffici dello scalo lombardo. Secondo il tribunale di Bursto Arsizio, la 45enne non avrebbe reagito con la dovuta tempestività alle avance dell’uomo attendendo “circa trenta secondi” prima di respingerlo. Per questo l’imputato è stato assolto per “insussistenza del fatto”.

Assolto perché la vittima non ha urlato né pianto

Non è la prima volta che a finire sul banco degli imputati sia la condotta della donna. Come accaduto nel 2017, quando il tribunale di Torino ha assolto un operatore della Croce rossa dall’accusa di molestie sessuali sul luogo di lavoro su una collega. La donna, scrivono i giudici nella motivazione, dice “basta” ma “non grida, non urla, non piange e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi”. Insomma non ha “tradito quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona”. La presunta vittima inoltre non avrebbe “riferito di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo”. Tanto è bastato per assolvere l’uomo  perché “il fatto non sussiste” e accusare la donna per calunnia.

Il marito deve “vincere le resistenze”

Ha suscitato clamore anche la motivazione con cui un pubblico ministero  della procura di Benevento nel 2021 ha chiesto l’archiviazione dell’esposto presentato da una donna contro il marito, accusato di violenza sessuale. Secondo il magistrato a volte l’uomo deve “vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale”.

“Troppo brutta per essere abusata”

Era un collegio composto da donne anche quello che nel 2017 ha scritto una sentenza molto discutibile tanto da spingere l’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede a disporre un’ispezione. In quell’occasione la Corte d’Appello di Ancona aveva assolto due giovani adducendo la scarsa avvenenza della vittima. “La ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo ‘Vikingo’ con allusione a una personalità tutt’altro che femminile quanto piuttosto mascolina“, scrivono le magistrate nella motivazione con tanto di commento a margine: “Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare”.

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