Siccità: “Perso 50% grano, rischio chiusura” | E intanto spuntano i negazionisti

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La produzione di grano è stata bassissima, perché la siccità è cominciata alla fine di aprile e fino ad ora non c’è una goccia d’acqua. Non piove da 3-4 mesi, la produzione del grano si è dimezzata. Una situazione del genere non si verificava da tanti anni“. Lo afferma Michele Gallotta, dell’Azienda agricola Antiqua alle porte di Roma. Un autentico dramma, che si sta estendendo sempre più in tutta Italia. Ma che ora, soprattutto sui social, qualcuno (anzi, i soliti noti) inizia a negare.

Gli effetti della siccità sui campi di grano

Qui era tutto seminato a grano. Parliamo di un appezzamento di 40 ettari“, denuncia Gallotta. E l’agricoltore mostra gli effetti della siccità sui suoi terreni: “La mancanza di piogge ha creato crepe nel terreno. E anche per gli ulivi è un grosso problema, perché senza acqua si sta creando la cascola delle olive. Soluzioni non ce ne sono, perché questa è una zona priva di irrigazione. Stiamo aspettando la pioggia dal cielo“.

Oltre al comparto dell’agricoltura, peraltro, trema anche l’allevamento. “Abbiamo problemi anche a causa dei cinghiali. Abbiamo una produzione di grano del 50%, 20% dovuto alla siccità e 30% ai cinghiali“, aggiunge Gallotta. Che ammette: “Non abbiamo alternative, aspettiamo la pioggia. Ci sono solo alcune sorgenti, ma servono per l’approvvigionamento dei casali. Non possiamo usarle per l’irrigazione. Ora aspettiamo risposte, dopo la pandemia e la guerra non ci voleva anche questa. Tra i ritardi nelle semine e le piogge che non ci sono, siamo in una situazione disperata. Le aziende non riescono a pagare le materie prime, non producono e sono a rischio chiusura“.

Come i cinghiali mettono in ginocchio l’agricoltura

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Gallotta, quindi, spiega in che modo la siccità incida anche sull’ecosistema degli animali: “I cinghiali qui sono venuti parecchi anni fa. Però sono cresciuti in maniera esponenziale durante la pandemia. Ho avuto dei danni sull’ordine del 30%. Parliamo di gruppi di centinaia di cinghiali, peraltro in una zona protetta. E quindi non è possibile andare a caccia. E in più è arrivata anche la peste suina, stiamo aspettando una legge per l’eventuale abbattimento selettivo. Rischiamo di non coltivare più, perché non riusciamo a raccogliere. Chi ha piccoli allevamenti, invece, rischia di doverli distruggere“.

Perché qualcuno non crede nella siccità (e cosa dice)

Oltre ai colossali danni, peraltro, aumentano esponenzialmente anche le beffe. Sul web, in particolare sui social e su piattaforme come Telegram, corre infatti il negazionismo della siccità. A portarlo avanti gruppi di persone che spesso coincidono con chi ritiene invenzioni il Covid, la guerra in Ucraina e il massacro di Bucha e il cambiamento climatico. Lo si evince, per esempio, dai tweet che mettono tutto insieme. Sotto attacco finiscono quindi il presidente del Consiglio Mario Draghi (accusato di alimentare una finta emergenza), ma anche presidenti di Regione come Attilio Fontana e Luca Zaia.

Tutti dello stesso tenore i contenuti. Qui si mostrano immagini, rigorosamente senza data, di fiumi, laghi e ruscelli pieni d’acqua. “Le dighe sono colme, quindi stanno trattenendo l’acqua alla fonte per creare siccità e rovinare i vostri raccolti. L’acqua c’è ma Attilio Fontana vi chiude i rubinetti. Andate a verificare e postate ovunque le prove, possibilmente coi droni“, è per esempio un post sul gruppo Telegram ‘Libertà di espressione’. Si denuncia anche una “ondata di aria fredda artica che sta colpendo una vasta zona euroasiatica” di cui – ovviamente – “nessuno parla“.

E sotto il cappello dell’hashtag #siccitànelvostrocervello, arrivano messaggi di questo tenore. “Non fidatevi di quello che vi si racconta, il fiume Po è un fiume falso. Quando vede i giornalisti si fa vedere secco, pallido e malato. Quando se ne vanno le telecamere si presenta così“, con tanto di foto in cui l’acqua è abbondante. Perché, evidentemente, anche la siccità è “un modo per scroccarci altri soldi“. Tanto da far piegare il più importante fiume d’Italia ai “poteri forti“, evidentemente.

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