Coronavirus, le parole entrate nel nostro linguaggio quotidiano

Erano le ore 2.18 della notte tra il 7 e l’8 marzo 2020. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annunciava l’attuazione della zona rossa in tutta la Lombardia e in altre 14 province del Nord Italia per contenere il Coronavirus. La sera del 9 marzo, poi, lo stesso Conte firmerà un altro decreto che estenderà le misure restrittive (la zona arancione) in tutta l’Italia. Un provvedimento sintetizzato con: Italia zona protetta. Ma anche con: “Io resto a casa”.

È l’inizio del lungo lockdown nazionale che durerà due mesi e mezzo abbondanti e che ha inevitabilmente modificato la vita di tutti noi. Uno di questi cambiamenti, sicuramente, ha riguardato anche le nuove parole ed espressioni che sono entrate di diritto nel nostro vocabolario quotidiano anche nelle chiacchierate più normali con le altre (poche) persone che abbiamo frequentato in questi cento giorni dell’emergenza Coronavirus; termini con i quali tutti noi siamo entrati in “confidenza” senza quasi ormai farci più caso, ma che prima del 9 marzo in tutto il Paese (e prima del 20 febbraio nel Nord) e difficilmente utilizzavamo con questa padronanza e consapevolezza.

Cominciamo da quello principale: Coronavirus. O meglio, a essere più precisi: malattia respiratoria Covid-19, causata dal Coronavirus SARS-CoV-2. Era pressoché impossibile discutere di altri argomenti nella nostra “ordinarietà” dei mesi di marzo, aprile e maggio. In questo macrotema vengono contenute tantissime altre parole. Innanzitutto i Comuni nei quali ci sono stati i primi malati italiani appurati, ovvero Codogno e Vo’ Euganeo, prima che il Coronavirus si diffondesse specialmente a Nembro e ad Alzano Lombardo, in Val Seriana. Prima di loro, c’era stata la coppia di turisti cinesi ricoverata allo Spallanzani, mentre i 55 italiani rientrati a Roma da Wuhan erano stati posti in quarantena alla Cecchignola. La malattia che purtroppo in molte occasioni è stata accertata in diversi pazienti trovati positivi al Coronavirus è stata la polmonite interstiziale.

Le parole sul Coronavirus utilizzate in campo medico sono entrate rapidamente in tutti noi

Il bollettino delle 18 che la Protezione Civile diramava tutti i giorni parlava dei tamponi effettuati, del numero dei contagi, delle valutazioni del comitato tecnico scientifico sui falsi negativi, su quello che poteva essere il sommerso degli asintomatici e dei paucisintomatici e, nei primissimi giorni, dell’annosa questione del paziente zero. E poi ancora: l’autoisolamento fiduciario, i tempi d’incubazione, la letalità, la CROSS, l’importanza dell’uso delle mascherine (FFP2 e FFP3) e dei gel igienizzanti, del distanziamento sociale e della tracciabilità; i problemi dell’aumento delle terapie intensive, le raccomandazioni di non fare assembramenti, la possibilità dell’immunità di gregge, le linee-guida fondamentali per la Fase 2 e poi anche per la Fase 3. La sottolineatura del fatto che alcuni non fossero morti DI Coronavirus, ma CON il Coronavirus, perché avevano già tre o più patologie pregresse concomitanti.

Nei talk show televisivi si sono visti, se non negli studi televisivi ma collegati via Skype o Zoom, specialmente virologi, epidemiologi, infettivologi, microbiologi, immunologi, pneumologi. Gli esperti scientifici, anche quelli dell’Iss e dell’Oms, hanno trattato concetti, ai più, sconosciuti: i test sierologici per la ricerca degli anticorpi (IgM e IgG), il fattore R0 (erre con zero), l’indice RT, i reparti COVID, i focolai scoppiati nelle RSA, la tracciabilità, la mancanza dei reagenti, i dubbi su un’ondata di ritorno del virus, la discussa questione della cura con il plasma da una parte e della contestatissima idrossiclorochina dall’altra.

Anche il mondo della politica ha fatto la sua parte nelle ‘nuove’ parole della pandemia di Coronavirus. Basti pensare ai dibattiti sui dpcm, sul Decreto Cura Italia, sul Decreto Liquidità e sul Decreto Rilancio. Le autocertificazioni per uscire di casa che cambiavano di volta in volta, la app Immuni, le lunghe e rispettose code fuori dai supermercati. Ma non solo: vocaboli ed espressioni come congiunti, affini, affetti stabili, didattica a distanza, assistenti civici, patente d’immunità, passaporto sanitario sono stati in auge durante il dibattito tra le varie istituzioni politiche.

Il contributo della lingua straniera per alcuni termini

In tutto questo, anche la lingua straniera ha avuto il suo ruolo nella diffusione del nuovo lessico quotidiano. Oltre al già citato lockdown, quante volte abbiamo ascoltato parlare di triage (o pre-triage), di droplet, di termoscanner, di screening di massa, di plateau, di follow-up per i pazienti, di contact raising, contact tracing e clearance virale? Non solo il campo sanitario, però. In ambito economico e professionale si sono riscoperte parole come lo smart working e le conference call. Si sono spesso espressi giudizi su: helicopter money, click day, Temporary Framework, le tante task force al lavoro, i Coronabond, i travel advice, i grants, per non parlare del Recovery Fund e del Recovery Plan. Infinite sono le state le polemiche sui runner, sulla movida e sull’uso dei plexiglas se non si è dehors. Ma, allo stesso tempo, gli italiani hanno dimostrato tutto il loro senso di appartenenza con i flash mob sui balconi e la loro generosità con le tante donazioni effettuate, anche tramite la piattaforma GoFundMe.

Chissà se, al termine di questo lungo incubo, effettivamente… andrà tutto bene.

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