Arrestato Matteo Messina Denaro: ecco chi è il latitante catturato 30 anni dopo Totò Riina

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano, nel Trapanese, è stata coordinata dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e dal procuratore aggiunto, Paolo Guido. Negli anni ha vissuto sotto molteplici coperture, sfuggendo a una cattura dopo l’altra. Ed è così che in questi lunghi tre decenni che hanno attraversato il nostro paese, l’Italia, è nato il mito della Primula Rossa. È stato, fino a oggi, 16 gennaio 2023, il più pericoloso e numero uno tra i latitanti italiani. Dalle primissime informazioni sarebbe stato arrestato in una clinica privata di Palermo. Si dice che fosse stato visto un’ultima volta nell’agosto 1993 in Toscana, a Forte dei Marmi, con suoi fidatissimi amici Filippo e Giuseppe Graviano. Erano i giorni degli attentati dinamitardi nel “Continente”, come quello della strage di via Palestro a Milano il 27 luglio 1993.

Elicottero carabinieri
Foto Pixabay | @ubert

Le origini di Messina Denaro

Le informazioni su di lui sono arrivate grazie al racconto dei pentiti o dei collaboratori di giustizia. È nato a Castelvetrano, in provincia di Trapani, nel 1962, in quello che per tutti questi anni è stato il suo feudo. È figlio di Francesco Messina Denaro (boss del luogo legato ai Corleonesi). Lavorava insieme al padre come fattore nelle tenute agricole della famiglia D’Alì Staiti, già proprietari della Banca Sicula di Trapani, all’epoca il più importante istituto bancario privato siciliano. Non solo il suo padrino di Cresima, ruolo fondamentale in Sicilia nella crescita di un ragazzo, è stato l’uomo d’onore, ed ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano, Antonino Marotta.

La carriera criminale

Una delle prime denunce – associazione mafiosa – nei confronti di Messina Denaro arriva nel 1989 perché ritenuto coinvolto nella sanguinosa faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna (è stato Paolo Borsellino a iscrivere per la prima volta il suo nome in un fascicolo d’indagine). Da qui l’ascesa in Cosa nostra. L’omicidio di Nicola Consales nel 1991 perché “colpevole” di aver rimproverato una sua impiegata austriaca, amante dello stesso latitante. Le prime informazioni arrivano da Baldassare Di Maggio, che in quegli anni diventa collaboratore di giustizia. Lo descrive come un giovane rampante, anche se non è già capo, amante del lusso, come le Porsche, i vestiti firmati e gli orologi costosi. A tratti sembra un identikit che lo differenzia da quello degli spietati Corleonesi guidati dall’efferato Salvatore Riina, con la sua spalla destra, Bernardo Provenzano. Nel 1992, anno delle stragi nelle quali persero la vita Giovanni Falcone (sua moglie e la scorta, il 23 maggio a Capaci) e Paolo Borsellino (e la sua scorta, a Palermo, il 19 luglio), Messina Denaro viene inviato a Roma per degli appostamenti nei confronti del presentatore televisivo, Maurizio Costanzo, e per uccidere lo stesso Giovanni Falcone (morto appunto qualche tempo dopo) e il ministro Claudio Martelli.  

Carabinieri
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La strategia delle bombe

Un primo colpo a Cosa Nostra avviene il 15 gennaio 1993 con l’arresto a Palermo di Totò Riina. E nascono due fazioni all’interno dei Corleonesi. C’era chi voleva continuare la strategia del terrore, quella delle bombe e chi, invece, voleva porre fine a tutto questo. E Messina Denaro (insieme ai boss Leoluca Bagarella, cognato di Riina, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano) è tra quelli che vuole dare continuità a quanto accaduto in quei mesi. Ed è sempre Messina Denaro a fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compì gli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma, che provocarono in tutto 10 morti e 106 feriti, oltre a danni al patrimonio artistico.

I racconti dei pentiti

Dalle testimonianze dei collaboratori di giustizia e dei pentiti si è saputo, negli anni, che Messina Denaro soffre un po’ di strabismo, che adora i dolci alla ricotta e che passava molte delle sue ore da latitante a giocare ai videogiochi e a fare puzzle. Il suo soprannome è “U Siccu” (il magro) e da solo si è dato il soprannome di Diabolik. E pare si tenesse in forma con la cyclette. È iscritto nella lista dei ricercati dal 2 giugno 1993. A quel punto era già diventato il capo di Cosa Nostra nella provincia di Trapani. Oggi la cattura, 30anni dopo quella di Totò Riina, avvenuta il 15 gennaio 1993.

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