La plasmaterapia e le sue “sorelle”: ecco le sperimentazioni anti-Covid

Somministrazione del plasma dei pazienti guariti: i vantaggi e i limiti di una terapia già nota

Una terapia utilizzata da anni sta attirando l’attenzione per la sua potenziale efficacia nei casi severi di Covid-19. Si tratta della sieroterapia, che consiste nella somministrazione ai malati del siero ottenuto da individui “iperimmuni”, ovvero chi è ormai guarito dall’infezione. Non è una novità nel panorama scientifico: è stata impiegata per la prima volta più di un secolo fa per il trattamento della difterite e da allora ha trovato ampia applicazione in numerose malattie infettive, quali tetano, rabbia, epatite A e B.

Sono attualmente in corso, su scala mondiale, studi che ne dimostrino chiaramente l’efficacia nei pazienti affetti da Covid-19.

La sieroterapia è stata testata già in Cina durante la prima fase della pandemia, mentre negli USA ha avuto approvazione dall’FDA a marzo e sono state finora effettuate oltre 5 mila infusioni di plasma donato da oltre 8 mila individui convalescenti.

Come prevedibile, visti i risultati promettenti finora registrati, l’opinione pubblica ha acceso i riflettori su questa soluzione terapeutica e sugli studi attualmente in corso per verificarne la reale efficacia. In primis quello dell’Università di Pavia, condotto su pazienti con un’elevata quantità di anticorpi neutralizzanti il virus, con risultati ancora più incoraggianti.

Ma quali sarebbero i vantaggi e quali invece i limiti?

In primo luogo, va considerato che il numero esiguo di studi finora condotti non consente di avere assoluta certezza sull’efficacia della sieroterapia nell’infezione da Sars-Cov-2, per quanto sia di per sé una pratica esistente dal 1901, quando il Premio Nobel Emil Von Behring l’ha utilizzata per la prima volta su una bambina affetta da difterite, ottenendone la guarigione. In medicina è fondamentale avere risultati da studi controllati prima di trarre una valutazione definitiva sull’efficacia e sul profilo di sicurezza di una terapia.

Tra i vantaggi, oltre all’efficacia testata nel tempo, ci sarebbero anche i costi bassi. Ma non solo. Se la sieroterapia si rivelasse efficace anche nel Covid-19 sarebbe un risultato straordinario. Si tratterebbe infatti del primo trattamento specifico contro questa malattia e consentirebbe nel tempo la produzione degli anticorpi protettivi isolandone i geni in laboratorio ed ottenendo in tal modo una sorta di “siero artificiale”. Questo aprirebbe le porte ad una terapia, oltre che specifica ed efficace, anche standardizzata ed esente da rischi, in quanto il siero così ottenuto conterrebbe una quantità identica di anticorpi e soprattutto sarebbe priva di anticorpi potenzialmente dannosi per le cellule del paziente che riceve la donazione. Questi infatti sono allo stato attuale tra i limiti principali: l’impossibilità di standardizzare la terapia, considerando la variabilità da donatore a donatore; la presenza di anticorpi “dannosi” oltre a quelli che neutralizzano il virus, e la scarsa disponibilità di donatori soprattutto in questa fase della pandemia.

Il Remdesivir funziona. L’EMA accelera sulla sua autorizzazione

Un’altra buona notizia è quella che riguarda il farmaco antivirale Remdesivir, originariamente sviluppato dalla Gilead Sciences per contrastare l’Ebola e rivelatosi efficace nei pazienti affetti da Covid-19. È quanto emerge dai risultati preliminari dello studio ACTT (Adaptive COVID Treatment Trial), condotto dall’Istituto Nazionale di Allergia e Malattie Infettive negli USA su un totale di 1.063 pazienti.

Si tratta di uno studio randomizzato e in doppio cieco, nel quale un gruppo di pazienti ha ricevuto il farmaco mentre l’altro gruppo, definito di controllo, ha ricevuto il placebo senza che né i pazienti né i medici sapessero in quale gruppo si trovassero.

L’analisi preliminare, riportata dal National Institute of Health (NIH), mostra che il farmaco sperimentale è migliore del placebo per il tempo medio di guarigione, inteso come la dimissione dall’ospedale o la ripresa delle normali attività. I pazienti ai quali è stato somministrato sono guariti in 11 giorni rispetto ai 15 dei pazienti trattati con placebo.

Lo studio ha analizzato anche il tasso di mortalità: l’8% dei pazienti trattati con Remdesivir contro l’11,6% del placebo, anche se il dato non è statisticamente significativo.

Domanda: abbiamo trovato la cura per il Covid-19? Potrebbe essere una valida opzione terapeutica, ma si tratta solo di risultati preliminari che vanno confrontati con altri studi che hanno fornito risultati contrastanti sull’efficacia del farmaco. La strada è ancora lunga.

Intanto l’Agenzia del Farmaco Europea (EMA) ha avviato la “revisione ciclica” dei dati sull’uso di questo farmaco, come riportato nella nota pubblicata lo scorso 30 aprile. “La revisione ciclica – spiega l’EMA – è uno degli strumenti regolatori a disposizione dell’Agenzia per accelerare l’autorizzazione di un medicinale sperimentale promettente durante un’emergenza sanitaria pubblica, come la pandemia in corso”. Questo consentirà di accelerare le procedure di valutazione dei dati riguardanti questo farmaco sperimentale, “garantendo nel contempo il raggiungimento di un solido parere scientifico”.

E sul fronte vaccino? I primi risultati incoraggianti da uno studio italiano

Per la prima volta al mondo un candidato vaccino contro il nuovo coronavirus ha neutralizzato il virus nelle cellule umane”. Sono promettenti i risultati finora ottenuti sui topi dal vaccino messo a punto dall’azienda Takis di Pomezia: gli anticorpi generati sarebbero in grado di neutralizzare il Sars-Cov2 nei test effettuati presso il laboratorio di Virologia dell’Istituto Spallanzani. Ma non basta. Va valutata la durata della risposta anticorpale e soprattutto la capacità del vaccino di adattarsi alle mutazioni alle quali i virus vanno frequentemente incontro.

Lavori in corso dunque, e in base ai risultati il vaccino sperimentale potrà essere testato sull’uomo subito dopo l’estate.

Al via altre cinque sperimentazioni cliniche

Cinque nuovi studi hanno ricevuto l’autorizzazione dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).  Tra questi, un grande studio italiano multicentrico promosso dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) che analizza una serie di farmaci innovativi per la terapia contro il Covid-19, tra i quali il tocilizumab.

La lotta contro il Sars-Cov-2 passa inevitabilmente attraverso la ricerca, anch’essa in prima linea nello sforzo quotidiano di conoscere e combattere questo nuovo nemico.

 

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