Coronavirus, l’Italia ha scelto il vaccino per provare a fermarlo

Mentre gli esperti si interrogano sull’attuale andamento dell’epidemia COVID-19, in Italia, offrendo l’inedita fotografia di un quadro caratterizzato da una prevalenza di “debolmente positivi”, giunge, direttamente dalle parole del Ministro della Salute, Roberto Speranza, un’altra buona notizia. Negli scorsi giorni, infatti, è stata annunciata la sottoscrizione, insieme con Francia, Germania e Olanda, di un accordo con l’azienda biofarmaceutica svedese – britannica AstraZeneca per l’approvvigionamento di 400 milioni di dosi di un vaccino sperimentale contro il SARS-CoV-2.

Tra oltre 130 possibili vaccini anti COVID-19 sui quali la ricerca sta lavorando a pieno ritmo ormai da mesi, una quindicina dei quali già in fase di studio sugli esseri umani, il ministero della Salute ha fatto la sua scelta.

Il vaccino sperimentale ChAdOx1 nCoV-19 è stato sviluppato dal Jenner Institute dell’Università di Oxford a partire dalla versione indebolita di un comune adenovirus che causa il raffreddore negli scimpanzé. Tale patogeno è stato reso innocuo tramite una modificazione genetica per la quale non è in grado di replicarsi nell’organismo umano. Alla sua struttura è stato però aggiunto il materiale genetico che codifica per la proteina “spike” che il coronavirus SARS-CoV-2 utilizza per entrare all’interno delle cellule umane e che verrebbe riconosciuta dal sistema immunitario, attivando, in caso di successivo incontro con il SARS-CoV-2, una risposta per combatterlo.

Il vaccino ChAdOx1 nCoV-19 ha ottimi precedenti. I ricercatori sono partiti infatti dal modello del vaccino contro il virus della MERS, l’altra grave malattia da Coronavirus che tuttora miete vittime negli Emirati Arabi e in Arabia Saudita.

Solo un altro vaccino per uso umano che sfrutta un vettore virale ha superato i controlli delle autorità regolatorie, anch’esso in condizioni di emergenza come nel caso del SARS-CoV-2: è quello creato contro Ebola utilizzando come vettore il virus della stomatite vescicolare, approvato lo scorso novembre dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).

In corso i test su efficacia e sicurezza

Non si hanno certezze su efficacia e sicurezza del vaccino anti COVID sul quale il nostro Paese ha deciso di puntare.

Nell’unico studio finora disponibile, condotto da un gruppo di ricercatori del Jenner Institute di Oxford e dei National Institutes of Health statunitensi su un gruppo di sei macachi, il vaccino non ha causato effetti indesiderati gravi. Sull’efficacia sussistono però perplessità. La metà degli animali vaccinati non ha manifestato sintomi respiratori dopo inoculo ma, nonostante tutti avessero sviluppato anticorpi neutralizzanti, tutti avevano tamponi nasali positivi, con carica virale uguale tra animali vaccinati e controlli.

I primi risultati, dunque, dimostrano l’efficacia protettiva contro la polmonite da COVID-19 ma non dall’infezione. Se questo venisse confermato nei successivi test, avremmo un vaccino che riduce il rischio di polmonite nel 50% degli individui vaccinati senza però produrre immunità di gruppo.

C’è da dire che si tratta di un preprint, non ancora sottoposto a peer-review e che il campione di studio è molto limitato, ma soprattutto mancano ancora dati sugli esseri umani. Per verificare la validità dei risultati negli esseri umani si dovranno attendere gli esiti degli studi in corso in Inghilterra e in Brasile, dove la circolazione del virus è ancora abbastanza intensa da poter mettere in evidenza differenze significative tra soggetti vaccinati e non.

I primi test

I test di fase I, iniziati ad aprile nel Regno Unito, hanno coinvolto un migliaio di volontari dai 18 ai 55 anni, allo scopo di valutare la sicurezza del vaccino, i dosaggi e soprattutto per escludere effetti collaterali importanti e per confermare la presenza di una risposta immunitaria. I risultati di questa fase, che si è conclusa a maggio, non sono stati pubblicati ma sono stati rivisti da un comitato scientifico indipendente che ha dato il via libera a procedere con i test successivi.

Sono attualmente in corso le fasi II e III dello studio. La fase II prevede di estendere la platea di volontari a oltre 10.000 persone in UK, inclusi gruppi di anziani e bambini (56-69 anni, over 70, 5-12 anni) che non erano stati presi in considerazione nella fase precedente. La fase III valuterà invece l’efficacia del vaccino su decine di migliaia di volontari in diverse parti del mondo, in particolare nei nuovi epicentri della pandemia, cioè nelle aree in cui, in questo momento, è più alta la probabilità di esposizione al SARS-CoV-2.

Tutti i volontari saranno sottoposti a tamponi e ad esami del sangue periodici per valutare il contatto con il virus e la risposta immunitaria che ne consegue.

Questione di scelte

Attendere nuovi studi per altri potenziali vaccini, più efficaci e sicuri, oppure cogliere l’attimo e sfruttare i test in corso per garantire una protezione da eventuali ulteriori ondate di contagio?

Scelta non facile. Vanno considerati a tal proposito alcuni aspetti.

L’obiettivo più alla portata nel breve-medio termine è quello di mettere a punto vaccini che prevengano le conseguenze più gravi dell’infezione da SARS-CoV-2 e che riducano la malattia a poco più di un brutto raffreddore, esente dalle severe complicanze che, come abbiamo visto nel corso di questi mesi, la contraddistinguono. Ma soprattutto, è assolutamente necessario proteggere le categorie più a rischio: gli anziani e i pazienti fragili, affetti da patologie croniche, esposti maggiormente a complicanze anche gravi e ad una più alta percentuale di mortalità.

Optare oggi per questo vaccino sperimentale significa sfruttare l’opportunità di creare una copertura per la popolazione, soprattutto in vista del periodo autunnale, nel quale si rischia di andare incontro a nuove ondate di infezione che potrebbero sovrapporsi all’inizio della stagione influenzale (da questo punto di vista sarà fondamentale la campagna vaccinale che il Ministero ha già predisposto per la stagione 2020-2021).

Il fattore tempo è stato sicuramente un elemento decisivo. Il vaccino prescelto infatti è quello che si dichiara più avanti, con la prospettiva che i primi due milioni di dosi possano essere disponibili già per l’autunno. L’altro vaccino in fase più avanzata, quello a RNA prodotto negli Stati Uniti, sembra non possa arrivare prima del 2021.

L’importanza della comunicazione

Determinanti saranno le modalità di comunicazione che accompagneranno l’uso del nuovo vaccino, considerando lo scetticismo che solitamente aleggia intorno a questo tema (ultimo in ordine di tempo il caso del tennista apertamente no-vax Novak Djokovic).

La pandemia COVID-19 ha già messo a dura prova le competenze comunicative del mondo scientifico, tra dichiarazioni di dubbia validità e l’eccessivo presenzialismo televisivo degli esperti.

Sarà necessario veicolare le giuste informazioni, evitando i toni trionfalistici e sottolineando quanto sia importante continuare a rispettare le norme igieniche e comportamentali adottate in questi mesi, in attesa delle risposte che verranno dalla ricerca.

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