Nord Stream 2, il ruolo del gasdotto nella crisi in Ucraina

La Germania gioca l’asso nella manica per evitare una guerra in Ucraina. Il cancelliere Olaf Scholz ha infatti annunciato che il governo di Berlino ha sospeso l’autorizzazione di Nord Stream 2 chiedendo di interrompere il processo di revisione del gasdotto russo da parte dell’autorità di regolamentazione tedesca.

“Sembra tecnico, ma è il passaggio amministrativo necessario”, ha spiegato Scholz; sottolineando poi che con questo stop procedurale “non può esserci alcuna certificazione del gasdotto. E senza questa certificazione, Nord Stream 2 non può entrare in funzione.

Berlino sospende l’autorizzazione al gasdotto

Il gasdotto, che Berlino ha voluto nonostante l’avversità degli Usa e dell’Ue, di fatto è pronto da settembre. Per essere attivato necessita però di un ultimo via libera, che ora la Germania non ha intenzione di concedere dopo il dispiegamento di truppe russe nel Donbass.

A fine gennaio era stata la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock a lanciare un primo avvertimento al Cremlino: in caso di guerra, la Germania – nonostante la grave crisi energetica in atto nel Vecchio Continente – non avrebbe avviato Nord Stream 2, bloccando così la fornitura di gas dalla Russia.

Baerbock aveva poi parlato di un “pacchetto di sanzioni forti”, le quali comprendono anche il gasdotto da 1.200 km che unisce la costa baltica russa al Nord-Est della Germania. E che, di fatto, si è trasformato in una vera e propria arma politica nonostante le rassicurazioni dell’ex cancelliera Angela Merkel dello scorso anno.

Cos’è Nord Stream 2 e quali società ne fanno parte

Costato 12 miliardi di dollari, il gasdotto sottomarino potrebbe fornire fino a 55 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia all’Europa ogni anno. Esattamente come il suo “gemello” già in funzione. Le quote di maggioranza (dieci miliardi) sono in mano a Gazprom, il colosso russo nel mirino di potenziali sanzioni Usa in caso di guerra in Ucraina.

Infine, nell’azionariato ci sono le società tedesche Uniper e Wintershall, la francese Engie, l’anglo-olandese Shell e la compagnia austriaca Omv. Un progetto, insomma, che mette d’accordo in tanti. Eccetto Kiev, che al contrario lo vede come una minaccia alla sicurezza globale e “una pericolosa arma geopolitica del Cremlino”.

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