Travis King, Corea del Nord: il soldato ha chiesto asilo a noi per fuggire dal “razzismo” degli Usa

A un mese dallo strano caso del soldato Usa sconfinato in Corea del Nord attraverso il blindatissimo 38esimo parallelo, Pyongyang rompe il silenzio e dà la propria versione dei fatti. Secondo il regime coreano, Travis King, 23enne di origini afroamericane, avrebbe cercato rifugio nel Paese a causa del “razzismo” degli Stati Uniti.

La prima conferma che il militare sia entrato volontariamente in Corea del Nord è arrivata in queste ore dall’agenzia stampa ufficiale del regime di Pyongyang, la Kcna. Il motivo dell’attraversamento? Il militare era in fuga dai “maltrattamenti inumani e dalla discriminazione razziale” che albergano in seno all’esercito a Stelle e Strisce.

L’organo di Stato precisa quindi che il soldato “intende chiedere asilo in Corea del Nord o in un Paese terzo”, tale è il disincanto difronte alle “disuguaglianze della società americana”.

Se è impossibile verificare in modo indipendente le presunte dichiarazioni di Travis King, d’altro canto accuse di razzismo subìto durante il servizio militare erano state avanzate già un mese fa da una zia del ragazzo, Myron Gates, intervista dall’emittente Usa Abc news.

Come già accaduto in passato, Washington e Seul temono che Pyongyang voglia sfruttare l’arresto di un cittadino straniero per ottenere concessioni di tipo economico o diplomatico.

Certo è che eventuali trattative per il rilascio del militare si annunciano complicate, con il regime che considera gli Stati Uniti l’impero del male e l’assenza di canali diplomatici ufficiali tra le due Coree. Seul e Pyongyang infatti non hanno mai firmato un trattato di pace dopo l’armistizio che nel 1953 ha messo fine alla guerra.

Kim Jong-un, capo della Corea del Nord
Foto EPA/KCNA

Il caso del soldato Usa sconfinato in Corea del Nord

Un mese fa era diventato un caso internazionale lo sconfinamento del soldato semplice in forza al contingente Usa di stanza in Corea del Sud. Una specie di diserzione “al contrario”.

Espulso dalla Corea del Sud per motivi disciplinari, invece di salire a bordo dell’aereo che lo avrebbe riportato a casa, il militare si sarebbe unito a uno dei giri turistici organizzati nella cosiddetta “Area di sicurezza congiunta”, una striscia lunga 800 metri all’interno della zona demilitarizzata gestita dalle Nazioni Unite, e da lì sarebbe entrato in Corea del Nord.

“Un membro del contingente statunitense ha attraversato volontariamente e senza autorizzazione la linea di demarcazione militare. Riteniamo che sia attualmente sotto la custodia della Corea del Nord e stiamo lavorando con le nostre controparti per risolvere questo incidente”, aveva spiegato un portavoce delle forze armate statunitensi.

Le accuse di razzismo agli Stati Uniti

L’accusa di razzismo nei confronti degli Usa del resto non è nuova. Gli archivi abbondano di dichiarazione del “leader supremo” Kim Jong-un, e prima ancora di suo padre, in proposito.

Da decenni la Corea del Nord periodicamente torna a puntare il dito contro le “discriminazioni” perpetrate negli Stati Uniti. Nel 2018 Pyongyang ha perfino pubblicato un “Libro bianco sulle violazione dei diritti umani negli Usa” con il quale accusava l’amministrazione dell’allora presidente americano Donald Trump di esacerbare “le discriminazioni razziali e la misantropia” già “presenti in seno alla società statunitense”, prendendo a esempio le marce dei fanatici del suprematismo bianco avvenute l’anno prima per le strade di Charloville, in Virginia.

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