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Pena di morte, il boia torna in azione in Giappone

Dopo una pausa lunga un anno il boia torna in azione in Giappone, l’unico Paese del G7 insieme agli Stati Uniti in cui viene ancora applicata la pena di morte. Shinji Aoba, 45 anni, verrà giustiziato con l’impiccagione, il solo metodo ammesso, per l’incendio appiccato nel luglio del 2019 in un studio di animazione di Kyoto in cui morirono 36 persone.

Il giudice ha ritenuto l’imputato, ex dipendente dell’azienda, nel pieno delle sue facoltà mentali, malgrado la difesa avesse sostenuto l’infermità. Secondo il magistrato, l’uomo era in grado di intendere e di volere e ha commesso il crimine “per risentimento” nei confronti dello studio. Pronunciando la condanna il giudice ha evocato la sofferenza delle vittime e quella dei sopravvissuti che hanno visto morire i propri colleghi. “La morte di 36 persone è estremamente grave e tragica. Sono state immediatamente avvolte dalle fiamme e dal fumo, senza poter fuggire”.

La strage nello studio di animazioni

La strage di cinque anni fa, considerata uno dei più gravi omicidi di massa mai avvenuti in Giappone, aveva colpito profondamente l’opinione pubblica. A perdere la vita erano stati perlopiù i giovani dipendenti della Kyoto Animation, soprannominata KyoAni, tra cui una donna di 21 anni. Più di trenta persone erano rimaste ferite.

Non pensavo che sarebbero morte così tante persone”, ha affermato l’imputato nella prima udienza del suo processo a settembre. “Merito di essere condannato a morte”, ha dichiarato in una successiva udienza a dicembre.

Secondo alcuni testimoni, Aoba ha fatto irruzione nello studio di animazione con una tanica di benzina e ha appiccato l’incendio gridando: “Morirete”. L’uomo voleva vendicarsi dello studio che realizza cartoni animati ispirati ai manga  perché era convinto che gli avesse rubato un’idea per una sceneggiatura, un’accusa smentita categoricamente dallo studio di animazione e definita dagli inquirenti “delirante”. L’autore della strage è rimasto gravemente ustionato nell’incendio e ha subìto diversi interventi chirurgici, tanto da dover partecipare al processo su una sedia a rotelle.

Lo studio Kyoto Animation | Foto L26 – CC BY-SA 4.0 DEED (Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0) – Newsby.it

Oltre cento persone nel braccio della morte

Insieme agli Stati Uniti, il Giappone è il solo tra i Paesi democratici e industrializzati a praticare ancora la pena di capitale. È prevista in caso di omicidio plurimo o di omicidio particolarmente efferate. L’impiccagione, una pratica che risale alla fine del 1800, è l’unica modalità prevista dal codice penale.

I giapponesi restano in gran parte favorevoli. L’ultima esecuzione risale al giugno del 2022 mentre lo scorso anno sono state emesse appena tre condanne a morte. Il Death Penalty Information Center stima in 106  le persone nel braccio della morte mentre lo scorso anno tre condannati sono deceduti in attesa dell’esecuzione delle pena.

Secondo la legge giapponese, l’esecuzione della pena deve avvenire entro sei mesi dalla pronuncia della condanna ma nei fatti i detenuti trascorrono in media circa 15 anni in attesa del boia. Come se non bastasse, le esecuzioni sono avvolte dal più totale riserbo. I condannati a morte sono tenuti in isolamento e controllati 24 ore al giorno con telecamere di sorveglianza. Quando arriva la loro ora, ne vengono informati la mattina stessa stessa, appena 60 minuti prima, col risultato che i familiari e i legali apprendono dell’esecuzione della pena solo dopo la morte del condannato.

Le organizzazioni per i diritti umani contro la pena di morte

Da anni la Japan Federation Bar Association, l’associazione degli avvocati, si batte affinché ai condannati a morte venga garantito il diritto alla difesa. Allo stesso modo, le organizzazioni per i diritti umani invocano l’abolizione della pena capitale. “Ci sono 144 Stati che hanno abolito la pena di morte, inclusi quelli che l’hanno eliminata di fatto. Perché il Giappone continua a usare un sistema che il 70% dei Paese al mondo considera non necessario?”, ha ribadito Hideaki Nakagawa, il direttore di Amnesty International Japan, nel luglio del 2022 in occasione dell’ultima condanna a morte eseguita nel Paese.

Sotto accusa sono anche le modalità con le quali i condannati vengono messi a morte. Anche le Nazioni Unite hanno criticato più volte l’opacità e la segretezza che accompagnano i condannati nel braccio della morte fino al patibolo.

Di pena di morte si è tornato a parlare nei giorni scorsi dopo il caso di Kenneth Smith, l’uomo giustiziato in Alabama con l’azoto assoluto, un metodo sperimentale mai impiegato finora sugli esseri umani.

Federica Giovannetti

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