Myanmar, i rohingya e la causa da 150 miliardi contro Facebook

I rifugiati della minoranza rohingya del Myanmar hanno intentato una causa da 150 miliardi di dollari contro Meta, nuova denominazione del gruppo Facebook. Secondo la comunità islamica, infatti, la piattaforma non avrebbe mai agitato concretamente contro il clima di incitamento all’odio contro i rohingya sul social.

La class action contro Facebook

Clima d’odio che sarebbe sfociato in vere e proprie azioni violente contro i rifugiati. Lo sostengono soprattutto gli studi legali Edelson PC e Fields PLLC, che lunedì 6 dicembre hanno intentato l’azione legale contro Meta nello Stato americano della California.

Nel frattempo, alcuni avvocati britannici – riporta Euractiv – hanno inviato una lettera agli uffici londinesi di Facebook per lamentare la stessa situazione. Facebook, contattata da Reuters, non ha commentato la causa da 150 miliardi intentata dai rifugiati rohingya.

Le accuse contro la piattaforma

Fra le accuse rivolte alla piattaforma, c’è anche quella di aver agito troppo lentamente e di non essere stata in grado di arginare il dilagare della disinformazione sulla situazione nella regione del Myanmar. Il social blu si è però difeso dicendo di aver bannato da Fb e Instagram i militari protagonisti del golpe del 1° febbraio 2021.

L’epilogo di quel colpo di Stato è arrivato proprio in questi giorni con la condanna a 4 anni della leader democraticamente eletta Aung San Suu Kyi. La class action dei rifugiati del Myanmar contro Facebook, comunque, non si annuncia di facile risoluzione.

Il nodo della legge “Section 230”

Come sottolineano alcuni esperti, infatti, il nodo sarà relativo all’applicazione di una legge in vigore negli Usa che regolamenta l’utilizzo di Internet. Si tratta della cosiddetta “Section 230”, secondo la quale i social network non sono responsabili dei contenuti postati da terze parti.

Odio, violenze e atrocità in Myanmar

Già nel 2018 alcune organizzazioni umanitarie avevano puntato il dito contro Facebook sostenendo che il social avesse giocato un ruolo chiave nella diffusione del linguaggio violento. Clima che ha poi alimentato atrocità come stupri e omicidi in Myanmar.

Quello stesso anno, inoltre, un’inchiesta dell’agenzia Reuters aveva documentato la presenza di oltre un migliaio di post d’incitamento all’odio contro i rohingya e i musulmani in generale. Perfino il Tribunale Penale Internazionale aveva aperto un fascicolo sui presunti legami fra Fb e i crimini nell’ex Birmania.

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