Coronavirus e gestione della crisi: il successo all’estero della leadership femminile

Può sembrare retorico ad un primo impatto, ma l’impressione è sostenuta dai dati ufficiali: i Paesi in cui la leadership del governo è appannaggio di una donna stanno affrontando bene l’emergenza coronavirus. Da Angela Merkel in Germania a Mette Frederiksen in Danimarca, da Erna Solberg in Norvegia a Katrin Jakobsdottir in Islanda, da Sanna Marin in Finlandia a Tsai Ing-wen a Taiwan, sono diverse le leader riuscite, nonostante l’emergenza, a limitare i danni, con risultati relativi all’impatto del Covid-19 migliori rispetto alla media mondiale. Altre figure femminili, come la responsabile del centro di controllo e prevenzione delle malattie della Corea del Sud, Jeong Eun-Kyeong, si sono rivelate determinanti grazie alla loro capacità di prendere decisioni corrette al momento giusto. Diventa così interessante cercare di capire per quale motivo, in questi Paesi, la situazione non sia diventata così grave come in Italia, Stati Uniti, Francia o Spagna.

La situazione in Germania e Nord Europa

In Germania, Angela Merkel ha ricevuto complimenti da ogni parte per la gestione ‘sociale’ della pandemia: alle sue capacità di leader ha abbinato anche la conoscenza scientifica (possiede un dottorato in fisica quantistica), ottenendo la fiducia dei tedeschi per quel che riguarda le restrizioni con risultati migliori rispetto ad altri Paesi europei. A fronte di un numero di casi simili a Francia e Regno Unito, i decessi sono circa un quarto. La popolarità della Cancelliera, tra l’altro, è notevolmente aumentata durante questo periodo, andando oltre il 70%. Anche diversi governi del Nord Europa sono rappresentati da una donna. In Danimarca, Mette Frederiksen è riuscita, con decisioni tanto ferme quanto rapide come la chiusura di confini e scuole, oltre a severi controlli anti-assembramenti, a limitare i casi totali a 8mila. In Norvegia Erna Solberg ha seguito il suo esempio con uguale successo e questa settimana riaprirà le le scuole materne. In Finlandia Sanna Marin non ha peccato di inesperienza nonostante i suoi 34 anni e grazie alla rapida chiusura delle attività non necessarie è riuscita a far sì che il suo Paese contenesse i numeri di contagi (circa 5mila) e decessi (circa 140), mentre la vicina Svezia (il cui primo ministro è un uomo, Stefan Lovfen) è arrivata quasi a 20mila contagi con un indice di mortalità nettamente superiore (oltre 2mila). In Islanda, il governo di Katrin Jakobsdottir ha offerto a tutti i cittadini, non solo a quelli con sintomi, test gratuiti per rilevare la presenza del virus, sfruttando anche la scarsa densità abitativa del Paese: l’iniziativa ha consentito di limitare a circa 1800 i contagi e a 10 i decessi.

Leadership femminile anche in Asia

In Asia, da dove tutto è partito, sono due gli esempi femminili di leadership efficace per il contrasto al Coronavirus: il primo arriva da Taiwan, il secondo dalla Corea del Sud. Nell’ex Isola di Formosa la Presidente della repubblica Tsai Ing-wen ha risposto con risolutezza e celerità all’epidemia esplosa nella vicina Repubblica Popolare Cinese, con l’attivazione a gennaio di un centro specifico per il controllo delle epidemie e l’applicazione di restrizioni ai viaggi e quarantena preventiva. Risultato: al 25 aprile i casi confermati sono 429, i morti 6. Anche l’opposizione interna al Paese non ha potuto far altro che applaudire la presidente. Per quel che riguarda la Sud Corea, invece, non è un’autorità politica ad essersi rivelata decisiva ma Jeong Eun-kyeong, la direttrice generale del centro di controllo e prevenzione delle malattie della penisola. Grazie alle sue decisioni rapide, precise e dirette è riuscita a porre rimedio agli iniziali errori di valutazione della pandemia, e grazie alla sua fama di lavoratrice stakanovista è diventata un icona del Paese.

Una radice sociologica?

Per Kathleen Gerson, professoressa di sociologia alla New York University, il successo della leadership al femminile può derivare da due fattori: “Per prima cosa sono elette in ambienti politici con discreta fiducia nelle attività del governo – ha detto al ‘Guardian’ -, quindi già a priori non importa che il leader sia donna o uomo. Poi c’è un altro aspetto: le donne sono in grado di non mettere in competizione la capacità decisionale e la dimostrazione dei sentimenti, ma di combinarle. Questo è un aspetto fondamentale, aldilà del genere, per una buona capacità di governare”.

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