Reddito di cittadinanza: qual è la situazione degli altri stati europei?

Ad oggi il reddito di cittadinanza in Italia è passato dall’estremismo del Movimento 5 Stelle a quello della premier Giorgia Meloni: dal provvedimento artefice dei successi elettorali dei pentastellati, ci si avvia verso tagli drastici, se non addirittura l’eliminazione, da parte del Governo in carica, andando ad abolirlo completamente dal 2024.

Tutto ciò accade senza la minima preoccupazione delle tensioni sociali che si stanno andando a creare dopo una decisione del genere: in Italia il reddito di cittadinanza ha si dimostrato non poche falle e inadeguatezze, ma la sua variante (con nomi diversi) esiste in quasi tutta Europa.

Il reddito di cittadinanza in Europa, l’esempio virtuoso della Germania

Infatti la maggior parte degli stati UE hanno, seppure in maniera diversa, introdotto misure di sostegno alle famiglie indigenti.

Un'immagine simbolica che indica che dopo Hartz IV arriva il reddito di cittadinanza tedesco
Foto | Wikimedia Commmons @PantheraLeo1359531 – Newsby.it

In alcuni stati, come Svezia, Slovacchia e recentemente anche la Spagna, il sistema è centralizzato a livello nazionale, mentre in altri, tra cui AustriaPaesi Bassi, è gestito localmente e ancora ad oggi non esiste una normativa europea sul reddito minimo garantito.

In Germania, uno dei primi paesi a introdurre una forma di tutela per chi fosse senza lavoro, il Bürgergelddopo l’ok del Senato federale tedesco sarà, a partire dal prossimo anno, potenziato, allargando la platea che si avvicinerà quasi ai 5 milioni di persone.

A differenza del sistema precedente, il nuovo modello di sussidio tedesco punta a favorire la ricerca di occupazione a lungo termine e chi guadagna tra i 520 e i 1000 euro ha il 30% esentato da imposte.

Inoltre, questo dal 1° luglio, gli uffici di collocamento dovranno offrire sempre un’assistenza mirata ai disoccupati di lunga durata, indicando loro percorsi di formazione per avvicinarli al mondo del lavoro e farlo impiegare stabilmente, con l’obiettivo di evitare che persone già fragili passino da un’occupazione a tempo all’altra, in un’ottica di perenne precarietà.

La situazione in Spagna e Francia

In Spagna il governo socialista di Pedro Sánchez ha introdotto, nel 2020, l’Ingreso Minimo Vital (IMF), una misura di welfare per garantire, a disoccupati e famiglie in difficoltà, un assegno che va da un minimo di 462 a un massimo di 1015 euro al mese.

L’importo dell’IMV varia a seconda della dimensione del nucleo familiare e viene erogato in 12 mensilità. Inoltre è cumulabile con altri tipi di prestazioni sociali.

Il fine ultimo della misura è il contrasto alla povertà e, proprio per questo, la misura prevede requisiti meno stringenti rispetto ad altri Paesi e può essere richiesto anche dagli stranieri che si trovano da almeno un anno in Spagna.

Per quanto riguarda la parte di politiche attive del lavoro, il governo spagnolo ha varato un meccanismo detto sello social (timbro sociale), che prevede sgravi fiscali alle imprese che assumono i beneficiari del sussidio.

In Francia invece, chi ha più di 25 anni ed è disoccupato può richiedere il Revenu de solidarité: sussidio introdotto nel 2008 e che prevede un supporto economico che va da circa 500 euro – in caso di mono nucleo familiare – a circa 1000 euro per le coppie con figli.

La misura non ha nessun limite temporale, ma consente di rifiutare al massimo un’offerta di lavoro. Se il percettore del sussidio rifiuta anche la seconda, il beneficio decade.

La misura può essere richiesta anche per integrare i redditi dei lavoratori sotto la soglia fissata annualmente per raggiungere il reddito minimo e per incentivare chi beneficia del Rsa a rientrare nel mercato del lavoro, il governo francese ha varato anche il Prime activité, un’integrazione dello stipendio che può essere richiesta da chiunque guadagni meno di 1800 euro.

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