Istat: vola il deficit, redditi a picco. I dati del secondo trimestre

Sono in linea con le aspettative, visto l’impatto della pandemia di coronavirus sull’economia italiana, ma colpiscono non poco i dati diffusi dall’Istat sul rapporto fra il deficit pubblico e il Prodotto interno lordo e sulla variazione dei redditi a disposizione delle famiglie italiane. I numeri pubblicati nella giornata di venerdì dall’Istituto di statistica fanno riferimento al trimestre aprile-giugno 2020. I dati risultano decisamente peggiori rispetto a quelli emersi nello stesso periodo del 2019.

Dati Istat: saldo primario negativo, sale la pressione fiscale

“Nel secondo trimestre 2020 il deficit pubblico in rapporto al Pil è stato pari al 10,3% (0,0% nello stesso trimestre del 2019) – si legge nella nota dell’Istat -. Il saldo primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato negativo, con un’incidenza sul Pil del -5,9% (+4,1% nel secondo trimestre del 2019)”.

L’Istituto di statistica ha anche indicato un aumento della pressione fiscale dell’1,8% rispetto al secondo trimestre 2019, nonostante la riduzione delle entrate fiscali per via delle soluzioni adottate in seguito all’emergenza. Complessivamente, la pressione fiscale ha raggiunto un dato pari al 43,2%.

Potere di acquisto diminuito per le famiglie italiane

Altri numeri negativi arrivano dalla sezione del monitoraggio Istat sui redditi a disposizione delle famiglie italiane. Nel secondo trimestre 2020 hanno subito infatti una riduzione del 5,8% rispetto al trimestre precedente. A ciò si accompagna il crollo dei consumi, con un dato in calo dell’11,5%. “Di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari al 18,6%, in aumento di 5,3 punti rispetto al trimestre precedente” sottolinea l’Istat.

Per gli statistici quella del reddito disponibile per le famiglie è unacontrazione marcata – seppure molto meno ampia di quella registrata dal Pil nominale – che si è tradotta in una riduzione del potere di acquisto. Il tasso di risparmio, di contro, è aumentato di gran lunga a causa della “decisa contrazione della spesa per consumi finali delle famiglie”, come sottolinea l’Istituto nel commento a margine della pubblicazione dei dati.

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