Che fine hanno fatto i vaccini italiani? Quel ‘Limbo’ dei fondi pubblici

Che fine hanno fatto i vaccini anti Covid Made in Italy? Nel momento in cui la campagna vaccinale nel mondo assume un ruolo decisivo nella lotta alla pandemia, il Belpaese potrebbe fornire un importante contributo alla ricerca scientifica. Anche per fronteggiare la temuta variante Omicron di origine sudafricana. Eppure, senza i necessari finanziamenti da parte dello Stato, questa sfida diventa impossibile. Basti pensare che la produzione di ben due vaccini ha già subìto pesanti rallentamenti a causa della mancanza di investimenti pubblici.

Vaccini Made in Italy: il caso ReiThera e i fondi del Mise

È ad esempio il caso della romana ReiThera, il cui vaccino a vettore adenovirale potrebbe dare un forte impulso alla campagna vaccinale. In particolare nelle aree più povere del pianeta, a partire dall’Africa. ReiThera, già nell’agosto 2020, aveva iniziato lo sviluppo del farmaco anche grazie a un contributo del Governo italiano. E prevedeva di produrre fino a 100 milioni di dosi all’anno. Ma senza nuovi investimenti la produzione rischia di interrompersi.

Ecco perché a novembre è intervenuta la Bill & Melinda Gates Foundation, che ha finanziato ReiThera con 1,4 milioni di dollari con il duplice obiettivo di “sviluppare vaccini di seconda generazione in grado di fornire una copertura più ampia contro le varianti di Sars-CoV-2 che destano preoccupazione; e supportare l’iniziativa contro l’Hiv della Fondazione Bill & Melinda Gates per la generazione di vaccini innovativi”, si legge in una nota dell’azienda romana.

In precedenza – come ricostruisce Nature – ReiThera non aveva la certezza di procedere alla fasi successive della sperimentazione dei suoi vaccini, proprio per l’assenza di fondi da parte del Ministero dello Sviluppo economico. In più, a maggio, durante lo studio di fase 2, la Corte dei Conti aveva anche respinto un accordo da 49 milioni di euro fra il Mise, Invitalia (l’Agenzia statale per gli investimenti) e la stessa ReiThera. Soldi che servivano per lo sviluppo dei vaccini e non anche per l’acquisto della sede dell’azienda, ha sottolineato la Corte dei Conti.

Takis, Rottapharm e il vaccino per la variante Omicron

C’è poi il caso di Takis, che sul fronte dei vaccini collabora con la Rottapharm Biotech. Da tempo sta lavorando sul vaccino Covid-eVax, basato sul Dna, il quale è già arrivato alla prima fase di sperimentazione nell’uomo. A settembre, però, l’a.d. e direttore scientifico di Takis, Luigi Aurisicchio, aveva ammonito: “Per la prosecuzione dello sviluppo sarebbero necessari i finanziamenti che finora non siamo riusciti a ottenere. Anche i vaccini esistenti, nonostante siano stati sviluppati da grandi aziende, hanno necessitato di interventi importanti da parte dei propri Paesi, come è logico per i vaccini contro una pandemia”.

E ora il copione rischia di ripetersi per la seconda volta. Perché Takis e Rottapharm stanno lavorando a un vaccino di seconda generazione contro la variante Omicron, basato sulla stessa piattaforma di Covid-eVax. Piattaforma già adattata con successo alle varianti Alfa, Beta, Gamma e Delta. Vaccino che è già pronto per la fase dei test preclinici, ma che rischia nuovamente uno stop anticipato.

“Resta il fattoha detto Aurisicchio all’Ansache la mancanza dei finanziamenti attualmente ci impedisce di proseguire gli studi clinici per portare avanti lo sviluppo di questo vaccino italiano. Ci auguriamo che l’Italia con le risorse del Pnrr possa effettuare investimenti strategici e favorire la ricerca italiana per rendere il Paese più competitivo nel mondo delle biotecnologie”.

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