Anni dopo essere stato messo sotto esame per aver contribuito alla violenza etnica e religiosa in Myanmar, Facebook ha ancora problemi a rilevare e moderare l’incitamento all’odio e la disinformazione sulla sua piattaforma nel Paese. Una situazione denunciata anche dalla vincitrice del premio Nobel per la Pace Maria Ressa.
Tre anni fa, un rapporto aveva rivelato che diversi utenti si servivano di Facebook per “fomentare la divisione e incitare alla violenza offline” nel Paese. L’azienda si era è impegnata a fare meglio e ha sviluppato diversi strumenti e politiche per affrontare l’incitamento all’odio.
Ma le violazioni sono persistite, se non aumentate, conducendo a ripetute violazioni dei diritti umani in tutto il Paese.
Scorrendo Facebook oggi, è infatti possibile trovare numerosi post o video che incintano alla violenza, agli stupri, o agli omicidi.
Nonostante i problemi in corso, Facebook ha visto le sue operazioni in Myanmar sia come un modello da esportare in tutto il mondo sia come un caso in evoluzione. I documenti mostrano che il Myanmar è diventato un banco di prova per la nuova tecnologia di moderazione dei contenuti. Con il gigante dei social media che sperimenta modi per automatizzare il rilevamento di incitamento all’odio e disinformazione con vari livelli di successo.
Le discussioni interne di Facebook sul Myanmar sono state rivelate dall’informatore Frances Haugen nelle divulgazioni fatte alla Securities and Exchange Commission e fornite al Congresso.
Facebook ha avuto una storia più breve ma più volatile in Myanmar rispetto alla maggior parte dei Paesi. Dopo decenni di censura sotto il dominio militare, il Myanmar ha potuto connettersi a Internet nel 2000. Poco dopo, Facebook si è unito ai fornitori di telecomunicazioni del Paese, consentendo ai clienti di utilizzare la piattaforma senza dover pagare per i dati. Da allora, l’uso della piattaforma è esploso. Per molti in Myanmar, Facebook è diventato Internet stesso.
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