Juve-Porto, con l’inutile vittoria per 3 a 2 dopo la sconfitta in terra lusitana dell’andata, ha certificato per i bianconeri l’ennesimo addio anticipato alla corsa verso la tanto ambita Coppa dalle “grandi orecchie”. Fine di un ciclo? Facile a dirsi, ma non per mister Andrea Pirlo. “Io in questo momento sono allenatore della Juventus, è solo l’inizio di un progetto più ampio. Questo è solo il primo anno. Ho parlato con il presidente Agnelli, non mi ha rassicurato di niente perché ero già tranquillo, da qui ripartiamo”, ha detto il tecnico a fine match in conferenza stampa. Ma è la scelta giusta?
Certamente l’arrivo di un allenatore alle primissime armi, senza gavetta e senza nessuna esperienza su una panchina professionistica, ha rappresentato per la Juventus un momento di svolta importante. Ma rischioso. E probabilmente, visti i risultati recenti, non accompagnato da un adeguato progetto tecnico.
È vero, le brucianti sconfitte contro Ajax, Lione e Porto (gli ultimi tre roboanti tonfi bianconeri in Champions League) sono arrivate con altrettanti tecnici e nel mezzo dell’incredibile cammino fatto di nove scudetti consecutivi. Ma mai le indicazioni a livello societario nella costruzione delle rose, gli incastri astrali, la fortuna o le scelte di campo hanno pagato in ambito europeo, almeno in un passato non troppo recente, che da 25 anni a questa parte fa disperare i tifosi della Vecchia Signora. Continuare con Pirlo, però, può essere un punto di partenza, a patto che il giocattolo venga plasmato davvero a suo uso e consumo.
Ma cosa non ha funzionato, in questa stagione? Troppe le implicazioni, il Covid (che però c’è anche per il Porto) ha certamente scombussolato i piani. Una caratura europea ancora da forgiare, con tanti elementi non avvezzi a certi palcoscenici, in parte. E l’assenza, in qualche modo non criticabile perché si gioca sempre in 11, di mister 31 milioni all’anno, memorabile solo nella sfida contro l’Atletico Madrid di qualche edizione fa.
È vero, Cristiano Ronaldo è stato acquistato anche, ma non solo, per cercare la svolta in Champions. E nonostante una carriera da “Goat” del calcio mondiale, la Juventus non è riuscita a metterlo nelle condizioni di fare quello per cui è stato scelto: vincere “quel” trofeo.
Errori tecnici, sopravvalutazione dell’avversario, giocatori ormai a fine ciclo, altri mai entrati nel vivo. Tutto ha contribuito a quello che può definirsi un fallimento economico e sportivo. E, chissà, ad avere una percentuale nel totale, anche la presunzione a livello dirigenziale di pensare di vincere, giocando bene.
“Vincere è l’unica cosa che conta”, recita un classico mantra juventino. Come, probabilmente, conta molto meno. Ricominciare da qui, da una rosa rinnovata, ringiovanita ma di peso a livello di personalità, potrebbe essere un nuovo inizio. Magari, salutando mister 31 milioni: dopo la pandemia, la carenza di introiti ed un triplice fallimento europeo, adesso i rispettivi futuri possono anche essere destinati a prendere strade diverse.
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