Il problema vero è che si aggiunge un’altra generazione di bambini che non si innamorerà del calcio non potendo sognare un Mondiale.
Una generazione che pensa che indossare la mascherina o guardare la maestra da uno schermo siano la normalità. Che ha dovuto salutare tanti nonni (il loro affetto, il loro esempio) troppo presto.
Una generazione che, grazie ai mille dispositivi disponibili e ai social facilmente fruibili, sta conoscendo l’orrore e la vicinanza della guerra.
Nella mente e nel cuore di un bambino, questi frame così apparentemente slegati tra loro, si instillano e, di più, proliferano: idee, ambizioni, sogni, paure, coscienze… Negli uomini del domani.
Non si può sempre vincere, e la Macedonia del Nord che si gioca il Qatar contro Cristiano Ronaldo è una splendida pagina di sport.
Ma se ripenso al bimbo felice che ero io nel ‘94, quando in un’estate serena mi innamorai di Roberto Baggio e della maglia della Nazionale, nutrendomi di quella passione, trasformandola nella mia, la tristezza di questa sera non sta nella mancata qualificazione degli Azzurri ai Campionati del Mondo, quanto piuttosto nel pensare ai tanti bimbi italiani che le immagini dell’Europeo di otto mesi fa le hanno già belle che sepolte, visto ciò che la società sta partorendo attorno a loro. Sarebbe stato bello, grazie al calcio, riempirgli qualche settimana di attesa, adrenalina, amicizia e unione.
Da popolo a maggioranza ipocrita e perbenista, dovremmo esultare nel poter dire – senza sforzi di coscienza né di moralità – di non aver partecipato alla peggior Coppa del Mondo di sempre in materia di rispetto delle vite umane, tutela dei diritti dell’uomo, sicurezza sul lavoro, e tutto ciò di orribile e schifoso di cui questo Mondiale qatariota si è già macchiato con la complicità delle istituzioni del calcio.
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