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80 anni fa la prima “rosa” di Coppi: l’indomani l’Italia è in guerra

“La struttura morfologica di Coppi, se permettete, sembra un’invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta. Coppi in azione non è più un uomo, del quale trascende sempre i limiti comuni. Coppi inarcato sul manubrio è un congegno superiore, una macchina di carne e ossa che stentiamo a riconoscerci simile. Allora persino i suoi capelli che il vento relativo scompiglia, paiono esservi per un fine preciso: indicare la folle incontenibile vibrazione del moto”. Parole e musica di Gianni Brera, che sulle colonne rosa della Gazzetta dello Sport glorificò qualche anno dopo il prodigio atletico del Fausto Coppi affermato.

La nascita del mito Fausto Coppi

Il volo dell’airone, però, inizia nella cupa primavera del 1940: il 9 giugno di quell’anno, a 20 anni, 8 mesi e 25 giorni, al velodromo Vigorelli il giovane piemontese filiforme scrive per la prima volta il suo nome sull’albo d’oro del Giro d’Italia, con Mollo e Cottur a completare il podio di Milano. Un record che resiste ancora oggi: mai nessuno è poi stato in grado di vincere il Giro in età più verde.

Con la guerra che già imperversa in larga parte del Vecchio Continente, quell’edizione della corsa rosa parte cucita addosso alla star indiscussa della pedivella del Regno d’Italia: Gino Bartali, toscanaccio dalle gambe di ferro e dal palmarès già luccicante, con due Giri d’Italia, un Tour de France e un bel filotto di classiche monumento.

Coppi-Bartali: il ciclismo si fa leggenda alla vigilia della guerra

Ebbene, Eberardo Pavesi, gran capo del team di “Ginettaccio”, convoca l’irsuto Coppi proprio per dar man forte al capitano sulle grandi salite. Le gerarchie però vanno a farsi benedire già nella seconda tappa, quando nella discesa di Scoffera un cane taglia la strada all’asso toscano, facendogli lasciare sul selciato svariati minuti. Nella Firenze-Modena, poi, Coppi saluta la compagnia e va a prendersi la maglia rosa con smargiassa prepotenza. Sulle Dolomiti, nella tappa regina che da Pieve di Cadore arriva a Ortisei, Bartali è un’iradiddio. Coppi in rosa gli sta dietro, ma sul Pordoi va in crisi: il capitano, a suon di urli, lo aiuta ad evitare la deriva. I due futuri rivali vanno così in trionfo, uno con la tappa l’altro con la certezza della vittoria finale.

Il 9 giugno, a Milano, non c’è il solito clima allegro. Il velodromo celebra in modo sobrio e dimesso la nascita del nuovo astro del ciclismo italiano. Il giubilo dura poco: il giorno seguente, Benito Mussolini annuncia l’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Che toglie speranze e sorrisi a tutti. E a Coppi e Bartali, mangia larga parte dei loro anni migliori.

 

Valerio Mingarelli

Nato a Fabriano, ai piedi degli Appennini, nel 1980. Ho iniziato a “gattonare” nelle testate locali umbre e marchigiane grazie al basket e al calcio. Giornalista professionista dal 2008, da allora tra Milano e Roma ho sempre fatto il viandante dell’informazione girovagando per radio, TV, quotidiani, agenzie e uffici stampa. Con la penna o col microfono in mano, mi sono sempre divertito da matti. Oggi seguo perlopiù le vicende del Parlamento nostrano, ma lo sport rimane sempre una passionaccia elettrizzante.

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