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SALUTE

Mascherina al lavoro, virologi ancora divisi | Burioni a favore, Bassetti attacca

L’obbligo di indossare la mascherina al chiuso è venuto meno quasi ovunque, ma ciò non implica che volerla ancora indossare per proteggersi sia ora vietato. Questa è una delle polemiche che imperversano nelle ultime ore, con tanto di botta e risposta a distanza tra virologi. I diversi esperti che durante la pandemia hanno a lungo condiviso le loro ricette per contrastare il Covid, sono infatti divisi più che mai.

La questione ha un raggio piuttosto ampio, e riguarda in particolare i luoghi chiusi. Da un lato infatti la mascherina resta ancora obbligatoria al lavoro, sia in ufficio che nelle aziende. Dall’altro, però, si può decidere di non indossarla in altri luoghi pubblici, come i supermercati. Ma in entrambi i casi la scienza non solo è spaccata, ma non manca di sottolineare le proprie critiche verso le decisioni del Governo. Ecco dunque che cosa dicono gli esperti.

Mascherina al lavoro, sì o no? Chi è a favore, chi contrario, chi a metà

Uno dei primi a esporsi è stato Roberto Burioni, critico con chi ironizza sulla mascherina ancora molto diffusa nei supermercati. L’economista Riccardo Puglisi aveva infatti definito “preoccupante” la percentuale di cittadini che ancora ne fa uso, arrivando a definire “ossessione” la cautela che resiste nei confronti del Covid. Secco il virologo del San Raffaele di Milano: “Fanno bene. Il virus circola, contagiosissimo negli ambienti chiusi e la mascherina molto efficace nel prevenire il contagio. Fermo restando che ognuno è ora libero di fare quello che gli pare, ci sono molti motivi per portarla e uno solo per non portarla: mi dà fastidio“.

Foto | Instagram | @matteo.bassetti_official

A spaccare la scienza è però soprattutto il perdurante obbligo di indossare la mascherina al lavoro. Il più severo sul tema (come avviene ormai da gennaio), è Matteo Bassetti. “Questa è l’ennesima dimostrazione che i provvedimenti riguardanti l’ambito sanitario, oggi, in Italia, non vengono presi dagli esperti e dai medici, ma dalla politica. Di questo passo, per superare le limitazioni che ci ha imposto il Covid, ci vorranno dieci anni. Altro che ritorno alla normalità“, ha tuonato l’infettivologo del Policlinico San Martino di Genova, in un’intervista al quotidiano ‘Libero’. A suo giudizio il sistema “è andato in tilt” e si rischia che la popolazione veda “questi strumenti di protezione come un qualcosa di vessatorio“.

Di parere esattamente opposto Fabrizio Pregliasco, Direttore Sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. “Ci sono alcuni ambienti dove la mascherina non andrebbe tolta, perché sono a maggior rischio. Quelli al chiuso sicuramente, è da tenere a cinema e teatro. Io senza dubbio le manterrei anche a scuola. Serve ancora prudenza“, ha spiegato all’agenzia ‘AGI’. Una visione simile è quella dell’infettivologo Massimo Galli: “Se il resto d’Europa le toglie non è un buon motivo per farlo anche da noi. Ora, finché si parla di teatro e cinema non è essenziale, ma fastidioso. Ma se inizia a essere un problema salire su un mezzo pubblico o andare a fare la spesa, perché il rischio personale di prendere il Covid aumenta, non sono d’accordo“.

Foto | Newsby

Qualcuno, infine, si colloca a metà tra le due visioni. Uno di loro è Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova: “Lo Stato deve tutelare i fragili. Questa è una misura di carattere morale. Con questo indice di trasmissione, è necessario solo proteggere i più deboli e chi ha a che fare con loro“. Va oltre Massimo Clementi, virologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano. “Sono per utilizzare la mascherina come gli occhiali da sole: quando serve. E cioè in luoghi chiusi. Ma anche dove c’è grande affollamento può essere un bene continuare ad utilizzarla. Almeno, io farò così e lo consiglierò ad amici e parenti“, ha dichiarato all’agenzia ‘AGI’.

Marco Enzo Venturini

Giornalista pubblicista dal 2018, entrare nell'albo è stato contemporaneamente un traguardo e una nuova partenza di una rincorsa iniziata sei anni prima scrivendo per diverse realtà editoriali sul suolo nazionale. O forse già quando, a cinque anni, il mio gioco preferito era una vecchia macchina da scrivere di famiglia. Appassionato di politica, geografia, cinema e sport, oltre che della lingua italiana: mi piace provare a scrivere ciò che vorrei leggere.

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