Enrico Letta rinuncia al simbolo del Pd, di cui è segretario nazionale. L’ex presidente del Consiglio ha presentato presenta in Corte d’Appello a Firenze i fogli per la propria candidatura alle elezioni suppletive nel collegio uninominale della Camera nelle province di Siena e Arezzo, lasciato vacante dall’ex ministro Pier Carlo Padoan. Compare solo il suo nome su sfondo rosso. Un modo per allargare il più possibile il recinto dei consensi, tanto a sinistra quanto tra moderati e indecisi. Nel Pd toscano giustificano la scelta di Letta. “Ci sta, è un collegio uninominale”. Per il rinnovo del collegio si voterà il 3 e 4 ottobre prossimi.
Del resto non è la prima volta che un militante del Partito Democratico rinunci al logo del movimento politico. Prima di Enrico Letta, altri avevano pensato di fare a meno del simbolo del Pd. In occasione delle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna nel gennaio 2020, Stefano Bonaccini aveva scelto manifesti senza simboli e dominati dal colore verde. Nelle principali città della regione campeggiava una sua grande foto in camicia e la scritta “Stefano Bonaccini Presidente” con lo slogan “Emilia-Romagna, un passo avanti”.
Un anno fa un post pubblicato su Facebook dal sindaco di Bologna, Virginio Merola, propose “una coalizione civica, formata da partiti e associazioni, che si presenta alle elezioni insieme, non separata per liste di partito e liste civiche, con un nome comune, lista di candidati insieme e unica per il Comune”. Un programma unitario per cui “per il Pd è un modo per mettere alla prova l’idea di campo democratico. E, quindi, di mettere in conto di rinunciare al simbolo e a liste tutte di partito”. Tuttavia la proposta venne immediatamente stroncata.
Più sottile, ma non meno “diabolica”, fu la scelta di comunicazione attuata da Paolo Gentiloni, allora presidente del Consiglio uscente, nel febbraio 2018. A pochissime settimane dalle elezioni politiche del 4 marzo, l’attuale commissario europeo agli Affari Economici presentò la propria candidatura al collegio Roma 1 alla Camera. “Con Roma per Gentiloni”, era il nome dell’incontro che si tenne al Centro Congressi Angelicum della Capitale il 17 di quel mese.
Secondo la legge elettorale (ancora vigente), se un cittadino votava una lista prescelta, la sua preferenza si estendeva anche al candidato uninominale collegato. Tuttavia non valeva lo stesso discorso in caso di dinamica opposta: il segno apposto su un candidato uninominale, infatti, estendeva il voto soltanto in misura proporzionale a tutte le liste collegate per quanto riguarda quelli ottenuti nel collegio da ogni singola lista. Quindi, di fatto, votare “solo” il nome Gentiloni (e non il simbolo del Pd) portava meno seggi assegnati al movimento politico con il sistema proporzionale. Più che contro il Partito Democratico, si rivelò una mossa anti-Renzi.
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