Bufera in Cina sulla storica Università di Shanghai. L’ateneo, tramite un documento interno, ha infatti chiesto ai vari Dipartimenti e facoltà di stilare un elenco di tutti gli studenti “non eterosessuali”. Il ‘Sondaggio nel campus’ ha ovviamente provocato molta agitazione nella comunità Lgbtq+. Ma anche un’ondata di indignazione sia nel Paese sia all’estero.
Il documento, inizialmente trapelato su Weibo (il principale social network cinese) e poi rimosso, è stato ripreso e postato anche su Twitter. Nel sondaggio l’Università cinese si rivolge alle sue facoltà affinché “indaghino” e “riferiscano” inclinazioni e informazioni personali relative alla popolazione studentesca. Nel questionario si chiede infatti di indicare studenti gay e transgender, ma anche tutti coloro che si dichiarano “non eterosessuali”. Vengono poi chieste le “posizioni ideologiche” e le idee politiche degli alunni, i loro contatti sociali, la loro “condizione psicologica” e, ove ci siano, eventuali “disturbi mentali”.
Su Weibo molti esperti si interrogano ora se tali richieste possano o meno violare la nuova legge sulla privacy varata in Cina. Al momento, dall’Università di Shanghai non è pervenuto alcun commento sulla vicenda. Babai Ywan Li, che per primo ha condiviso il sondaggio sul social asiatico, ha commentato che “qualunque sia l’intenzione dell’università, è orrenda”. L’utente ha poi raccontato che Weibo ha rimosso lo screenshot del documento, che aveva già ricevuto decine di migliaia di like e condivisioni.
L’episodio arriva in un momento di particolare agitazione per la comunità Lgbtq+, con i gruppi di studenti gay sempre più emarginati nei campus universitari. Perfino lo Shanghai Pride, un anno fa, aveva annunciato la chiusura. Gli organizzatori dell’evento in una lettera aperta avevano parlato della “fine dell’arcobaleno” per loro, dopo ben 12 edizioni.
A luglio, invece, WeChat ha cancellato decine di account gestiti dalla comunità omosessuale, senza però fornire alcuna spiegazione e senza avvisare gli utenti. Più in generale, però, l’intolleranza cinese negli ultimi anni si sta concentrando sul mondo dell’attivismo. Ultimamente nel mirino sono infatti finiti gruppi di femministe e di persone impegnate nella lotta contro le discriminazioni.
Oltreoceano, gli osservatori della Cina sono divisi su come interpretare l’iniziativa dell’Università della metropoli. “Mi auguro che si tratti solo della malinterpretazione di uno studio demografico” sulla popolazione studentesca, ha detto al Guardian Eric Hundman, assistente alla New York University di Shanghai. James Palmer, vicedirettore di Foreign Policy, ha definito l’accaduto “spiacevole, quantomeno”. Ma secondo Palmer “non ci sarà una persecuzione di stampo omofobo” e il questionario risponde più alla “costante necessità del sistema di identificare e monitorare le persone, soprattutto potenziali attivisti”.
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