Negli scorsi mesi, varie dichiarazioni, tra cui quelle di Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera ed esponente di Fratelli d’Italia, e di Eugenia Roccella, ministra per le Pari opportunità, la natalità e la famiglia, hanno riacceso il dibattito pubblico sulla maternità surrogata. Quest’ultima è una forma di procreazione assistita in cui una donna accetta di portare a termine una gravidanza per conto di una coppia (eterosessuale o omosessuale) che, per vari motivi, non può avere figli. L’accordo può essere portato avanti per ragioni altruistiche (magari da un’amica della coppia) o commerciali (chi accetta lo fa per ottenere un compenso economico). Di recente la Camera dei deputati ha approvato (con 166 voti a favore e 109 contrari) una proposta di legge di Fratelli d’Italia che punta a rendere la maternità surrogata un reato universale.
In Italia questa pratica non è legale, come esplicitato dall’articolo 12, comma 6, della legge 40/2004, che prevede la reclusione da tre mesi a due anni e una multa da 600mila a un milione di euro per chiunque organizzi o pubblicizzi “la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. Come si può notare l’ordinamento italiano non fa distinzioni tra la maternità surrogata altruistica e quella commerciale.
In altri Paesi, invece, questa forma di procreazione assistita è legale. L’elenco comprende la Grecia, la Gran Bretagna, l’Olanda, l’Albania, l’Ucraina, la Polonia, la Russia e gli Stati Uniti. Non è normata in Belgio e Repubblica Ceca ed è permessa, solo se altruistica, quindi non dietro compenso, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito, in Australia, in Danimarca, in Ungheria, in Israele, in diversi Paesi degli Stati Uniti e a Cipro.
Nel caso della maternità surrogata tradizionale è prevista l’inseminazione artificiale dell’ovocita della madre surrogata con il seme del padre committente o di un eventuale donatore. Quando si opta per la maternità surrogata gestazionale (o completa), invece, viene impiantato nell’utero della madre surrogata un embrione generato in vitro, proveniente dai genitori committenti o da una donatrice. La seconda tipologia è la più frequente, perché prevede un minor coinvolgimento della donna che ha accettato di portare a termine la gravidanza.
Nella maggior parte dei casi, la maternità surrogata è regolata da un contratto tra la coppia o il singolo che non riesce ad avere figli e la donna che ha accettato di portare a termine la gravidanza. I contenuti dell’accordo possono variare in base alla legislazione del Paese nel quale è stipulato ma quel che non cambia è l’impegno che la madre surrogata si assume nel rinunciare agli eventuali diritti sul nascituro o sui nascituri e a “consegnarli”, dopo la nascita, a chi si è rivolto a lei per la procreazione assistita.
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